Isola d’Elba – Rio
Attraversammo col nostro ospite le rocce per giungere a Rio. La strada conduce per contrade deserte, traverso pianure e sorgenti. Una di queste sorgenti porta il nome di Barbarossa, non dell’imperatore tedesco, ma bensì del corsaro che attaccò e saccheggiò, nel 1544, Porto Longone. Il suo nome è ancora vivo in diverse isole del Mediterraneo, forse in tutte, poiché non ve n’è alcuna in quei paraggi che non sia stata visitata da questo che fu il più ardito di tutti i pirati.
Passammo così per diversi piani e diverse colline rocciose, sempre rallegrati da nuove vedute di roccie, valli e mare, sino a che non discendemmo a Rio. Qui rumoreggia giù dalle alture un ruscello che si scarica nel porto. Da esso il luogo ha preso il nome di Rio. Di questo torrentello, il più rapido dell’Elba, si dice che non abbia origine nell’isola, ma che provenga dalla Corsica, da dove poi proseguirebbe per canali sotterranei al disotto del mare, sino a tornare alla luce nel Rio. Le foglie ed i rami dei castagni, che l’acqua trasporta con sè, dimostrerebbero chiaramente la sua origine côrsa. Comunque sia, questa nuova Aretusa sembra potersi riferire, secondo il significato poetico, alla sorte di Napoleone.
Un’altra considerazione ancora congiunge le miniere di Rio alla Corsica; di qui fuggì una volta, nel secolo XV, Pietro Cireneo, scrittore conosciuto dei côrsi, di cui la vita avventurosa di fuggiasco è simile ad un romanzo; fuggendo dal patrigno, egli giunse ancora bambino a Rio e guadagnò la sua vita nelle miniere di ferro, aiutando a portare coi somari il minerale al porto.
Isola d’Elba – Miniera
Il terreno rosso sul quale camminavamo ci avvertiva che ci trovavamo su terra ferrugginosa; dappertutto nient’altro che questa polvere di ferro; le colline d’intorno, scure e rossicce, coperte d’innumerevoli arbusti d’aloè, i quali con le loro foglie rigide, di un colore di bleu acciaio, e terminanti in punte di spine, sembrano essere tanti fasci di pugnali e di spade. Tutto ciò che incontrammo aveva questo color di ferro, gli operai di Rio, tinti di rosso nei vestiti, nella faccia e nelle mani, ed anche i cani stessi, che ci venivano incontro. Il porto stesso, verso il quale scendemmo, era rosso di polvere di ferro; sulla spiaggia giacevano mucchi di minerale, che di là veniva poi caricato sui bastimenti.
[…] Le miniere di ferro dell’Elba, che sono amministrate per proprio conto da una Società toscana […] Giornalmente vengono estratte 120,000 libbre di ferro; in estate però i lavori languono, perché la lavorazione dei campi reclama gli operai, i quali sono per la maggior parte di Rio. Nell’inverno i lavori procedono molto più alacremente.
Già dai tempi più remoti la miniera di Rio era sfruttata, pure essa rende ancor oggi moltissimo, è un monte di circa 500 piedi di altezza, tutto di materiale di ferro. Nelle sue vicinanze vi sono ancora altri giacimenti non meno ricchi, quelli di Terra Nera, di Rio Albano e quello della Calamita, un vero monte magnetico.
Già gli Etruschi sfruttarono queste cave; essi portavano il materiale a Populonium, sotto il cui dominio l’isola giaceva e colà veniva estratto il ferro. La penuria di legna non permette all’Elba il lavoro di fusione ed anche oggi il ferro viene fuso in fabbriche nelle vicinanze dell’antica Populonium, oppure il materiale viene imbarcato per Napoli, Genova, Marsiglia e Bastia.
[…] I lavori si limitano ancora alla superficie, e di opere sotterranee, non vi è altro che due gallerie; con tutto ciò si vedono i più bei giacimenti di minerale allo scoperto. Chi s’immaginasse di trovare a Rio dei pozzi di gallerie, delle cave con tutti i romantici accessori dei minatori, come lo avevo immaginato io, prima di vedere questo straordinario monte di ferro, sbaglierebbe di molto.
Gettai uno sguardo nei dintorni; dappertutto vi era malinconia e le opere stesse, queste colline rosse e nere, la terra color di ferro e la polvere di ferro scintillante producevano l’effetto del deserto, come i campi di lava e di cenere di un vulcano. Una torre merlata guardava tristamente dall’alto di uno scoglio sulle miniere. Era la torre di Giove. Innanzi a queste sinistre miniere, dalle quale la furia della guerra ha portato ininterrottamente nel mondo spade, lancie e palle, e dalle quali sembra essere emersa direttamente l’età del ferro, come è stato cantato dal poeta, dovevasi innalzare un monumento a Napoleone, ponendo sul piedistallo quell’ordine del Re degli Etruschi, Porsenna, che, cioè, per l’avvenire il ferro dovesse soltanto essere adoperato per fare arnesi per l’agricoltura e per le arti pacifiche.
La bella leggenda mi fa ricordare un fatto storico dell’antichità greca, un’altra condizione di pace. Quando Gelone dettò ai Cartaginesi la pace in Siracusa, dopo la battaglia di Himera, una delle sue condizioni fu questa, che essi dovessero in seguito cessare dal far sacrifici a Moloc. Anche questa ordinanza avrebbe dovuto esser posta sul piedistallo di quel colosso di ferro da erigersi all’Elba: non più vittime da immolare al Dio Moloc!
Io non so, tuttavia, se una tale êra icarica verrà mai, e se le olive di Elihu Buritt metteranno radici. I popoli mi sembrano che siano moralmente poco più grandi di quello che erano ai tempi di Porsenna e di Gelone di Siracusa.—Tanto in onore del Moloc politico, quanto di quello religioso, le nazioni si combattono oggi come ieri, ed il fiore della loro gioventù si lascia mietere così tranquillamente, come se la vita umana potesse rinnovarsi centuplicata come l’idra.
Per questo ci separiamo dall’isola del ferro col grido di Porsenna: «Non più spade nè lancie, ma industria ed agricoltura, e non più sacrifici umani a nessun idolo».
Isola d’Elba – Rio
( Ferdinand Gregorovius – Passeggiate per l’Italia – Vol. III )
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