Fermi al '700

Creato il 25 ottobre 2012 da Fabio1983
Sapete a quale velocità ci spostiamo nei grandi centri urbani tipo – chessò – Roma, Milano e Napoli? A 15 chilometri orari. E nelle giornate in cui il traffico risulta particolarmente caotico addirittura a 7-8 km. Potrà sembrare un'iperbole, ma nel '700, quando il principale mezzo di trasporto era la carrozza, ci si muoveva alla stessa andatura. Possibile? Possibile. Il Libro Bianco della Confcommercio sui trasporti, Sciogliere i nodi per competere, fotografa in maniera impietosa il ritardo infrastrutturale del nostro Paese. E una tale “lentezza”, non solo negli spostamenti, è valsa nel decennio 2001-2010 qualcosa come 142 miliardi di euro di Pil. Persi, ovviamente. 
In Italia, tra quelle più importanti, si contano 27 opere incompiute. Tanto per rendere l'idea: il tunnel Rapallo Fontanabuona in Liguria e la trasversale Fano-Grosseto in Toscana “vantano” un ritardo di 50 anni. Per non parlare poi di quelle piccole, ma allo stesso tempo enormi, difficoltà che si affrontano quotidianamente. Il problema atavico delle buche per le strade di Roma, ad esempio, è una questione che si ripropone ad ogni cambio di amministrazione. Ed è un paradosso se si tiene conto che sì, d'accordo, saremo pure un popolo di santi, poeti, eroi e navigatori, ma siamo soprattutto un popolo di automobilisti. Alla macchina non rinunciamo per nulla al mondo: ne abbiamo due, tre, se non quattro per famiglia. Più in generale sono 36 milioni le auto che circolano nel Paese (ma secondo le stime della Confcommercio abbiamo raggiunto quota 41,4 milioni), il che implica che nostro è il record europeo per l'uso di autoveicoli sia in rapporto alla popolazione (in Italia circola il 17% delle auto presenti nel Vecchio continente) sia alla rete stradale (dal 1970 è stato rilevato un aumento del 271% a fronte di una crescita dell’intera rete pari al 34%). 
Viste le premesse, spulciare numeri su incidenti, inquinamento e ore passate in mezzo al traffico ricorda piuttosto un esercizio di scuola. Anche perché il trasporto pubblico, siamo schietti, è spesso di dubbia qualità e il rapporto con quello privato a Roma è di 28 a 72 mentre a Londra è di 50,1 a 49,9, a Parigi di 63,6 a 36,4, a Berlino di 66 a 34 e a Barcellona di 67 a 32. E se percorressimo, allora, le città in bicicletta? Provocazione? Neanche tanto. Se ne è discusso a Reggio Emilia il 5 e il 6 ottobre durante gli Stati generali della Bicicletta, evento organizzato da Legambiente, Anci, Fiab e #salvaiciclisti. L'occasione ha permesso di individuare una convergenza strategica che coinvolga soprattutto le amministrazioni locali al fine di garantire la messa in sicurezza delle strade attraverso la realizzazione di nuove piste ciclabili a tutela di quanti vorrebbero recarsi al lavoro o compiere i propri spostamenti pedalando. E ce ne sono di ciclisti urbani, non crediate sia una mera utopia. Sarà la crisi, saranno i continui rincari benzina, fatto sta che nel 2012 sono state vendute oltre due milioni di biciclette, con un incremento di circa 200 mila unità rispetto all'anno precedente. E vuoi mettere il risparmio? Il traffico veicolare assorbe l’1% del Pil in inefficienza. 
Certo, prima di poter modernizzare in questo senso le città andrebbero varati alcuni provvedimenti mirati. A febbraio è stato presentato un disegno di legge recante “interventi per lo sviluppo e la tutela della mobilità ciclistica” (primo firmatario il senatore del Pd, Francesco Ferrante) che prevede il monitoraggio degli incroci più pericolosi e l’obbligo del limite di 30 km/h di velocità massima nelle aree residenziali. Tutto ha avuto inizio quando, sempre nel mese di febbraio, il Times ha lanciato la campagna Cities fit for cycling dopo che una sua giornalista, investita da un camion mentre era in bici, è finita in coma. Così anche in Italia, sulla scia di quanto stava avvenendo oltremanica, è stata proposta l’analoga iniziativa #salvaiciclisti il cui raduno nazionale si è tenuto a Roma il 28 aprile. «Di fronte all’inerzia delle amministrazioni italiane che si sono succedute negli anni, e a tutti i livelli, la nascita del movimento è stato un atto di autodifesa collettivo e spontaneo», hanno spiegato alcuni esponenti dell’associazione. 
Secondo le stime Istat-Aci (2011) i sinistri stradali che coinvolgono le biciclette rappresentano il 3,9% del totale. Al primo posto figurano le autovetture (67,8%), poi i motocicli (13,2%), gli autocarri o motoccarri (6,9%) e i ciclomotori (5,6%). Inutile spiegare che gli incidenti con le due ruote, sebbene inferiori in termini percentuali, celano un tasso di mortalità decisamente superiore. A Reggio Emilia è stato dunque redatto un Libro di Impegni da catalogare secondo il costo e il termine. Dapprima gli enti locali dovrebbero contemplare una mobilità che assicuri il target 20-20-20 (da intendersi come percentuali di ripartizione modale, tra bici, pedoni e trasporto pubblico locale). Poi, altro obiettivo dirimente, è raggiungere i 20.000 km della rete ciclabile nazionale con il ridisegno degli spazi e delle strade e con la progettazione di nuovi quartieri car free. Una riqualificazione che, se attuata, necessiterà in aggiunta della revisione organica del Codice della strada nonché di una elaborazione più snella dei Piani locali della mobilità. Tutto ciò, inoltre, potrà avere un enorme vantaggio non solo per chi, individualmente, deciderà di abbandonare l'auto (almeno per quanto riguarda il capitolo di spesa legato ai carburanti), ma anche per chi vorrà investire nella green economy, un settore in espansione e tra i pochi a garantire lavoro e capacità di sviluppo. «Ciò che è importante è innanzitutto una svolta culturale su questi temi. Non sono infatti tanto preoccupato per la scarsità di risorse, perché quando la visione è chiara le risorse si trovano. Sono più preoccupato dall’idea che nel nostro Paese si continui a credere che lo sviluppo sia collegato esclusivamente alle grandi opere», ha commentato Graziano Delrio, presidente dell'Anci e sindaco di Reggio Emilia. 
Nuove piste ciclabili e la costruzione di impianti innovativi sul modello di città europee che già hanno adottato misure del genere, potrebbero quindi essere la chiave di volta per ripensare i nostri centri urbani. Fermo restando che la prevenzione, a ogni latitudine, è da sempre motivo di ritorno economico. Basti pensare che un paio di anni fa l’Eurispes osservò come nel solo 2008 la spesa per gli incidenti stradali si fosse attestata a 28,8 miliardi di euro, pari all’1,83% del Pil nazionale. Non proprio due soldi, ça va sans dire.
(per il settimanale Il Punto, in edicola dal 19 ottobre)

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