Ferrara, gennaio 2013 - «IL MERCATO immobiliare è fermo, anzi siamo tornati indietro di 25 anni». Con queste parole il presidente ferrarese di Ance (associazione nazionale costruttori edili), Paolo Martinelli, descrive l’attuale stagnazione del mercato delle case in città, come nel resto del Paese. In cinque anni, dal 2008 al 2012, il settore delle costruzioni ha perso più di un quarto (-26%) degli investimenti riportandosi ai livelli di produzione di metà degli anni ‘70. La nuova edilizia abitativa che nei cinque anni ha perso complessivamente più del 44% del volume di investimenti. Le compravendite residenziali nel secondo trimestre 2012 sono calate del 35% rispetto all’anno precedente.
I DATI rendono perfettamente l’idea di una situazione piuttosto ambigua, perché mentre da una parte ci sono «diverse decine di migliaia di alloggi vuoti, dall’altra abbiamo code infinite di famiglie senza una casa», riferisce il direttore di Acer, Diego Carrara. «Attualmente — precisa — gli alloggi di edilizia pubblica (dove il canone medio si aggira intorno ai 122 euro) sono 6600. Tutti pieni». E le domande di assegnazione che prendono polvere sulle scrivanie degli uffici comunali sono 1900.
«Possiamo dire — spiega Martinelli — di avere per fortuna evitato la bolla immobiliare, che si è invece verificata in altri Paesi, dove il livello dei prezzi e del valore degli immobili è crollato in modo drastico. Da noi i prezzi si sono mantenuti seppure con qualche flessione». La questione è un risultato di diversi aspetti. Si pensi al mercato del lavoro: un ragazzo con un contratto a termine, che non sa se tra sei mesi lavorerà ancora, non ci pensa neanche a comprare una casa. O meglio, magari ci pensa, ma è un progetto che non può neppure prendere in considerazione. E di fatto il mercato di tutti i beni durevoli è in crisi.
Poi bisogna ricordare il paradosso tutto italiano della seconda casa, in certi rari casi della terza. «Si pensi a Comacchio — propone Carrara — lì l’offerta è largamente superiore al fabbisogno. Ci sono 3 mila case vuote, occupate solo per pochi periodi all’anno».
MARTINELLI assicura che «non è vero che si è costruito troppo in Italia: in 4 anni le nuove abitazioni sono state meno della metà delle nuove famiglie. In Spagna per esempio hanno costruito il doppio delle nuove famiglie». Il problema sarebbe piuttosto, secondo l’imprenditore, che si è smesso di costruire. La prova starebbe nel fatto che i permessi comunali e regionali in tre anni si sono più che dimezzati. «È un’emergenza per i dipendenti che fa poco rumore perché le imprese edili da noi sono tante e piccole. Quindi se un imprenditore mette a casa dei dipendenti fa meno eco nei media. Ma se si contassero tutti insieme ci renderemmo conto del dramma». E poi c’è l’effetto domino: se non si costruisce, falliscono le imprese, ma la filiera dei lavoratori che fanno i prodotti per l’edilizia precipita. «L’aiuto — spiega Martinelli — dovrebbe arrivare da Roma, il disastro è anche un risultato delle politiche inadeguate del Governo». Dove l’intervento statale c’è stato, si è potuto salvare qualcosa: «I benefici fiscali hanno sostenuto la branca della ristrutturazione».TRATTO DA ILRESTODELCARLINO.IT/FERRARA 10 gennaio 2013