Vorrei, ogni tanto, andare indietro nel tempo. Mi piacerebbe tornare a quando ero nel pieno della mia adolescenza e assorbivo di tutto, come una spugna. Ma soprattutto, vorrei andare a quando ho incontrato per la prima volta un qualcosa che mi ha colpito in maniera particolarmente esagerata. la prima volta che ho visto il mio film preferito, la prima volta che ho finito di leggere un libro bellissimo o la prima volta che ho ascoltato una canzone che è diventata i mio tormentone personale. Semplicemente, mi piacerebbe tornare a quando ero più ignorante e avevo ancora tutto un mondo da esplorare, perché la vera gioia nella vita sta proprio nell'apprendere. Quando avevo visto questo film ne sapevo ancora meno (sì, incredibile ma vero) di adesso di cinema, ignoravo molte cose del cinema coreano e avevo scelto nella biblioteca della mia città il dvd perché a Venezia se ne era parlato molto - ah, all'epoca ero anche uno snob cacacazzi - e perché ero fresco di visione da Primavera, estate, blablabla, film che a suo modo mi aveva davvero colpito molto. Il che è strano, Perché questi due sono dei film di cui parlo pochissimo e che non cito spesso, ma ogni volta che ci penso mi prende una sorta di tuffo al cuore.
Taek-su è un ragazzo che ha la strana abitudine di abitare le case quando i proprietari mancano. Vive così, prendendosi cura dell'abitazione e andandosene di nascosto quando il legittimo proprietario fa ritorno. Un giorno però viene scoperto da Sun-hwa, moglie di un marito violento che la picchia costantemente, e insieme decidono di scappare...
E' difficile dire perché questo film sia bello. Io ricordo che all'epoca - avrò avuto quindici o sedici anni quando l'ho visto la prima volta, ed ero in uno dei periodi più bui e strani della mia esistenza - mi fidai di un istinto di pancia. Mi era piaciuto un botto, ma non avrei saputo argomentare il perché questo film mi avesse colpito in quella maniera. Ed io non sono uno di quelli che si fida delle proprie sensazioni, che dice che "le cose belle non devono avere un senso per forza". Certe volte cerco la spiegazione a tutti i costi, cosa che in certe parti mi limita parecchio, e a quelli che per contro ribattere mi chiedono come mai mi piaccia la gnocca, rispondo che quello è un fattore istintivo dato dal nostro bisogno di riprodurci. Ecco, cerco un senso in ogni cosa, e prima di tirare in ballo Vasco Rossi cerco di dare un termine a questo discorso. Insomma, tutto questo viavai di cose per dire che crescendo, forse, ho maturato certe convinzioni che mi hanno fatto comprendere come mai questo film sia così bello. Ed è strano come a pensare e a ripensare alle cose certe risposte vengano da sole, forse non perché il film cambia, ma perché siamo noi che lo vediamo con occhi diversi. Ed è proprio di occhi che vorrebbe parlare questo film, per certi versi. Da una parte abbiamo quelli di Taek-su, un ragazzo del quale ci viene detto pochissimo e che ha questa stranissima abitudine. Sono gli occhi di una persone che molto probabilmente ha dei demoni interiori, un giovane uomo che non vuole stanziarsi in nessun luogo perché non vuole appartenere a un posto specifico. Lui vuole essere un cittadino del mondo, essere libero in tutto e per tutto, al contrario di quelle persone chiuse in quelle scatole chiamate case e che in realtà sono sempre più infelici. Poi ci sono gli occhi di Sun-hwa, una di quelle persone infelici di cui sopra. E' una donna oppressa, maltrattata da un marito che odia e che vede quella possibilità di fuga come un riscatto per la propria vita fallimentare e senza futuro. Due anime diverse ma che però saranno destinate a fare qualcosa di nuovo, a creare un qualcosa di intangibile ma comunque molto reale. Ma soprattutto, due anime destinate a sentirsi libere in tutto e per tutto. Ecco, possiamo dire che a conti fatti questo sia un film che parla della libertà, la parola più abusata e usata a sproposito insieme ad amore. Ma cos'è la libertà? Forse non è andare di casa in casa senza averne una propria, non è non avere legami. Alla fine, i legami e il possesso delle cose fanno parte della vita di tutti i giorni, sono cose che ci identificano in qualche [minimissima] maniera come umani. La libertà esiste, ma non la si vede. Perché non serve essere fuori da una gabbia per sentirsi liberi, spesso la scelta di stare dietro delle sbarre auto-imposte è una volontà precisa, e ogni umano possiede la libertà di scegliersi la propria prigione. Questo mi sembra il messaggio che vuole aver dato il regista e a ripensarci mi pare che sia proprio così. La storia regalataci dall'atipico e talentuoso regista coreano sembra proprio voler calcare su questo concetto, su una ricerca di una libertà che non esiste, perché nessun uomo tormentato alla fine può dirsi libero. E se un uomo trova la propria serenità, che sia attraverso un vero amore o col pilates, allora può anche sopportare di avere degli orari di lavoro, degli obblighi sociali e delle necessità antropologiche. Perché forse, la libertà esiste ma al contempo non esiste. Innanzitutto, la devi sentire.
Forse questo è solo il delirio di un poveraccio senz'arte né parte, ma credo che dei messaggi simili, specie in un mondo dove ci si connette sempre di più per essere più 'liberi di stare insieme', siamo davvero importanti.Voto: ★★★★★