Primo Maggio, festa del Lavoro. Anzi, festa di San Giuseppe Lavoratore. Domani il classico concertone romano trasmesso dalla Rai celebrerà ancora una volta il diritto fondamentale su cui – in linea di principio – è fondata la nostra Repubblica. Personalmente, pur consapevole che la mancanza di lavoro sta privando tanti giovani della possibilità di progettare il proprio futuro, dedicherò la festa di domani alle generazioni più stagionate, quelle dei quaranta-cinquantenni, che il futuro hanno cercato di costruirselo con sacrifici immani ma continuano a vederselo sfuggire dalle mani. Chiederò al buon Giuseppe una intercessione per chi, esclusivamente con il proprio sudore e senza chiedere favori a nessuno, ha fatto una lunga gavetta per avere un posto di lavoro, ha magari acceso un mutuo mettendo la sua vita e quella dei suoi figli in mano ad una banca e poi, alla fine quel lavoro lo ha perso, dall’oggi al domani. Farò una prece anche per il settore dell’informazione, la cui salute, libertà e pluralismo sono fondamentali per l’esistenza della nostra stessa democrazia.
- Pronto? Ciao, ho visto la tua chiamata ieri sera.
- Ah, sì ciao. Volevo chiederti di venire alla conferenza stampa di oggi. Ma poi ho telefonato in redazione e mi hanno detto che in questo periodo non stai lavorando. Che è successo, sei stata male?
- No, non sono stata male. Sai, devono fare dei tagli al personale … ora sono in aspettativa, ma tra un po’ dobbiamo andare via. Io e l’operatore.
- E poi?
- Boh, non so, ora sono a casa con i bambini, poi non so, speriamo bene …
Lavoro e informazione che cambia
Tanta dignità, parole amare. Sofferenza. Parole di una delle tante persone che in questi mesi stanno vedendo svanire un sogno e stanno perdendo un lavoro in cui hanno creduto e per cui hanno lottato con tanti sacrifici. Le tv riducono gli organici, i giornali licenziano. Nonostante gli scioperi. E gli attestati di sostegno. Il cameraman, figura professionale che finora era stata di fondamentale importanza per raccontare le notizie con le immagini a quanto pare è diventato un esubero. Non serve più. Quante battute, nelle lunghe ore di anticamera in attesa delle conferenze stampa del presidente di turno. O in mezzo alla strada, aspettando un’intervista o una notizia di cronaca. I cameramen, testimoni con le loro cineprese di tanti anni di storia, oggi pare non servano più. Rottamati. E sempre più spesso i giornalisti delle emittenti locali devono girare con una telecamerina. Seguono gli eventi, scrivono, riportano i contenuti, girano le immagini, le montano per confezionare i servizi.
Nella carta stampata, oltre al lavoro del giornalista insidiato dai new media, vacilla anche quello del fotografo: con la nuova tecnologia le foto si possono fare anche con il telefonino e allora perché spendere fior di quattrini per professionisti che si fanno giustamente pagare un lavoro fatto bene? Quanto è diminuito il lavoro dei fotocronisti? Quanti hanno perso il lavoro o le collaborazioni? Molti hanno aperto un negozio di fotografia, altri sono tornati a fare matrimoni, la cronaca è diventata un lusso.
Quando dieci anni fa era iniziata l’esperienza Epolis credevo che il futuro dell’informazione fosse la freepress: notizie brevi e fruibili, giornali gratuiti che si sostenevano solo con la pubblicità, formato tabloid da leggere in fretta, alla portata anche delle nuove generazioni che non avevano mai letto un quotidiano. Sulla freepress ci avevo fatto anche la tesina per l’esame da professionista.
Per la verità Epolis non era veramente una freepress. Era dato gratis, sì, ma aveva una qualità superiore rispetto alla media dei quotidiani free in cui ci si limitava a impacchettare notizie provenienti dalle agenzie di stampa. E per questo ha dato qualche dispiacere e qualche buco anche ai giornali storici.
Ma col senno di poi – ora che si sente parlare molto poco di freepress (anche se Epolis resiste a Bari) - quell’avventura, quei diciotto quotidiani (d-i-c-i-o-t-t-o) editi in tutta Italia e confezionati da un manipolo di redattori che con il tempo sono diminuiti sempre più, sembrano essere stati soprattutto un’esperienza devastante per l’intero panorama editoriale. Non solo per il modo in cui il network è fallito, lasciando senza lavoro e con molti debiti tanti lavoratori. Ma soprattutto perché è stato un precedente. La prova che in fondo, con le moderne tecnologie, per fare un giornale bastano sempre meno persone. Che del lavoro si può anche fare a meno. A maggior ragione oggi con internet, con lettori che subito si stancano di leggere e guardano di sfuggita le news sul telefonino.
Il mondo dell’informazione sta cambiando. Il problema è farlo capire alla banca che è tutta colpa della tecnologia.
Buona festa del Lavoro. E in bocca al lupo soprattutto a chi il lavoro non lo trova, lo ha perso o lo sta perdendo.