Sembrava il set di un disaster-movie Cannes, fino a pochi giorni fa. Onde, si dice, alte fino a sei metri avevano spazzato via buona parte delle installazioni mobili del festival e degli spazi esterni dei locali più alla moda del lungo maree servivano milioni di euro e una settimana a pieno ritmo per risistemare tutto. Ci sono riusciti e il tempo, di fronte a questo piccolo miracolo, è stato clemente, offrendo un primo giorno di festival tranquillo. Nuvoloso sì, ma non freddo nè troppo ventoso. E la nube islandese, che minacciava l'arrivo di talent e giornalisti, sembra aver evitato l'aeroporto di Nizza. Una tregua che non ha comunque scongiurato l'assenza di Ridley Scott, per un'operazione al ginocchio che ha avuto strascichi e un ricovero più lunghi del previsto.
Peccato, perchè il genio che ha regalato al cinema capolavori come Blade Runner, Alien e Thelma e Louise, ha ricevuto l'onore di aprire Cannes, in contemporanea con l'uscita internazionale nelle sale (sia in Francia che in Italia esce proprio oggi). Onore forse immeritato, visti i 140 minuti del nuovo kolossal del cineasta, alla quinta collaborazione (si dice che sia stata la più difficile e tormentata- ndr) con il protagonista Russell Crowe.
Il regista britannico delude, nonostante il fascino della storia che aveva per le mani. Non tanto quella di Robin Hood, ma quella del suo passato. Personaggio storicamente poco riconosciuto (un pò come Alberto da Giussano, potrebbe aver su di sè il peso di una leggenda collettiva) ma cinematograficamente sviscerato dai registi e dagli attori più diversi (da Richard Lester a Mel Brooks, da Errol Flynn a Kevin Costner), trova in Scott l'uomo che ne scandaglia il passato, quello di Robin Longstride, di un combattente che vuole la sua libertà ma ha troppo dignità e orgoglio per non combattere anche per quella altrui. E se state pensando a Il gladiatore, non vi sbagliate. L'Hispanico è leggermente dimagrito e invecchiato, ma ha sempre la solita faccia da cane bastonato ed eroe solitario un filo incompreso. E non è una semplice citazione di un successo passato quella dell'autore 73enne, mai troppo indulgente verso la nostalgia, ma piuttosto un inquietante ed eccessiva similitudine, fin dalla scena iniziale, dalla battaglia dei soldati "semplici" (Robin-Crowe, ovviamente, è un arciere) al confronto col potere costituito e inconsistente di un re del cui valore morale è rimasto solo un ricordo, di un'icona battagliera ma svuotata.
Lì era l'impero romano, qui un'Inghilterra con due sovrani, un crociato e un inetto, schiavi delle loro ossessioni.
E in questo senso è affascinante notare come Ridley Scott non riesca ad allontanarsi dal suo eterno racconto di un singolo, spesso dal pessimo carattere e dai metodi discutibili, che si erge a paladino delle libertà contro il Sistema. Nel passato (Il gladiatore, Robin Hood), nel presente (Thelma e Louise e Insider) e nel futuro (Blade Runner). Al di là di alcuni film straordinariamente non riusciti (Albatros) o frutto di una deriva ideologica bizzarra e reazionaria (Soldato Jane), il cineasta ha sempre dimostrato un'indole cinematografica sovversiva, nascosta sotto la pelle, le corazze e le urla di eroi duri e puri. Meglio se con la faccia di Russell Crowe, a cui non a caso per ben tre volte ha fatto interpretare personaggi di questo tipo (Il gladiatore, Robin Hood, e il controverso dirigente di Insider Man) e nelle altre due gli ha fatto incarnare quel potere arrogante da lui tanto odiato (Un'ottima annata, sia pur in chiave di commedia romantica, e Nessuna verità). Al di là di questo, però, le frecce di questo Robin Hood non fanno centro e per di più sono ben poco acuminate.
Scott, la cui scelta narrativa gli consente di non dover seguire, rispettare o disconoscere le tante opere precedenti sull'eroe di verde vestito, forse per le molte difficoltà di produzione (cast discusso, soprattutto) qui riesce a sbagliare anche ciò che di solito fa, benissimo, con il pilota automatico. Si pensi solo alle scene madri (scarse quelle di Von Sydow e la battaglia finale) o al fatto che non ci spinga mai ad appassionarci alla pur tumultuosa storia del suo protagonista.
Tra la pur brava e sempre più bella Cate Blanchett- invecchiando, migliora- e l'arciere, inolte, nonostante i loro ironici e romantici "Chiedimelo con grazia", non scatta mai l'alchimia, e Crowe sembra non credere mai fino in fondo al so ruolo, non diventando mai la guida carismatica e fuori dagli schemi che vorremmo e che vorrebbe anche il film. In questa situazione, affatto rosea, poi, si aggiunga anche che i comprimari subiscono tagli al montaggio che rendono difficile la comprensione di alcune svolte di sceneggiatura e che al di là dei rilievi critici, la lunghezza non aiuta certo l'efficacia dell'intrattenimento.
Si aspettava con ansia questo nuovo capitolo della cinematografia di Ridley Scott, ora invece si teme un sequel, "promesso" da quella freccia finale e dalla passeggiata di Robin, Frate Tuck e compagni nella mitica foresta di Sherwood. Perchè quando lo Stato si impone al di là della legge, sono i fuorilegge a dover riportare giustizia.
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