A distanza di tre anni dalla sua ultima esibizione qui, Maurizio Pollini è tornato al Festspielhaus di Baden-Baden per una serata che ha entusiasmato ancora una volta i suoi ammiratori arrivati da ogni parte della Germania. Quelli che leggono i miei resoconti sanno bene, credo, della profonda ammirazione da me nutrita per il grande pianista milanese, che da quasi quarant’ anni ascolto regolarmente in concerto e che nella mia vita di ascoltatore ha sempre avuto un ruolo di primo piano nel ristretto numero dei grandi artisti che mi hanno regalato le emozioni piú intense. In tanti anni di ascolti dal vivo, iniziati a Firenze nel 1978, non mi è mai capitato di uscire deluso da un concerto di Pollini. La coerenza assoluta, il rigore analitico e la raffinatezza di fraseggio che caratterizzano le sue esecuzioni mi hanno sempre dato la sensazione di scoprire nuone prospettive e particolari inediti anche in brani che conoscevo a memoria e credevo di aver capito fino in fondo. Così è stato anche in questa serata a Baden-Baden, nella quale il pianista ha presentato un programma dedicato a Chopin e Debussy, aperto dall’ esecuzione integrale del ciclo dei Preludi op. 28.
Tra gli aspetti che amo di più nell’ arte interpretativa di Pollini c’ è sicuramente la sua capacità di rinnovarsi continuamente dal punto di vista interpretativo e di cercare sempre nuove soluzioni di lettura nei pezzi che affronta. Questa esecuzione dei Preludi suonava completamente ripensata rispetto alla celebre incisione discografica del 1974 e, per alcuni aspetti, anche in paragone con la seconda registrazione realizzata nel 2011. La visione d’ insieme è diventata essenziale, asciutta e a tratti quasi scabra. Pollini cerca e ottiene nuove sfumature di tocco in una ricerca minuziosa di analisi timbrica, con effetti di pedale calcolati e messi in atto con una precisione implacabile. Tra le cose migliori di un’ interpretazione che meriterebbe un’ esegesi lunga e dettagliata, vorrei citare brevemente i bellissimi arpeggi della mano sinistra nel terzo Preludio, la liquida eleganza del Preludio N° 10 in do diesis minore, la straordinaria intensità espressiva nei numeri 13 e 15, con il Preludio in re bemolle maggiore stupendamente calcolato nell’ accumularsi della tensione espressiva nella sezione centrale e che suonava quasi come un poema sinfonico lisztiano in miniatura, i drammatici staccati nel numero 18 e il fervore del fraseggio nell’ ultimo numero del ciclo, reso in maniera impeccabile dal punto di vista virtuosistico. Una lettura per molti aspetti innovativa, ragionata e avvincente per profondità di analisi, di quelle che ti portano a riflettere e che ha costuito l’ ennesima conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, della statura storica di Pollini nel campo dell’ interpretazione di Chopin. Lo stesso giudizio vale per il Preludio in do diesis minore op. 45 e la Barcarolle op. 60, eseguiti in apertura della seconda parte e splendidi per accuratezza di ricerca timbrica e tornitura della linea melodica.
Il programma era completato da alcuni pezzi tratti dal Secondo Libro dei Preludes di Debussy. Conosco molto bene l’ interpretazione che Pollini ha dato del Primo Libro, da me ascoltata in concerto un paio di volte, ma non mi era ancora capitato di sentirlo eseguire la seconda parte del ciclo. Nella sua concezione interpretativa gli aspetti innovativi della scrittura pianistica di Debussy sono evidenziati al massimo, in una lettura di estrema razionalità che non concede nulla alla retorica e al sentimentalismo. In Brouillards e Feuilles mortes il pianista utilizza al massimo le sue capacità di graduare la pedalizzazione e il gioco del polso per orffrire una vera e propria lezione di analisi timbrica e divisionismo coloristico. Magnifica in La puerta del vino la sottolineatura degli accenti ritmici. In La terrasse des audiences du clair de lune la trasparenza filigranata del suono e la delicatezza delle sfumature dinamiche erano assolutamente incantevoli. Lo stesso effetto di scrupoloso calcolo delle sonorità caratterizzava l’ esecuzione di Ondine e quella dell’ ultimo brano, Feux d’ artifice, nel quale Pollini ha sgranato un’ agilità di grazia perfetta nella liquidità degli arpeggi e nella stupenda definizione del fraseggio. Conclusione entusiasmante per una serata di altissimo livello, accolta da applausi trionfali. Tre bis chopiniani, gli stessi eseguiti da Pollini alla fine della sua esibizione di tre anni fa, hanno messo il sigillo definitivo a una serata di grande musica. Sempre tecnicamente impeccabile la resa dello Studio in do minore op. 10 n° 12 e quella del Notturno op. 27 N°2, staccato da Pollini a un tempo leggermente più indugiante rispetto all’ esecuzione del 2012 e sempre ricco di cantabilità fervida e intensa. Quasi immutata la lettura dello Scherzo op. 39, intensa e drammaticissima e col Corale della sezione centrale forse ancora più dilatato dal punto di vista ritmico. Pollini ha ancora molto da dire come interprete e vale sempre la pena di andarlo ad ascoltare. Credo che questo sia il commento finale più appropriato per l’ ennesima grande serata regalataci da questo artista straordinario.