MARINELLA FIUME “FEUDO DEL MARE: la stagione delle donne (Rubbettino 2010)” Romanzo,
recensione di TIZIANA CARMECI
La natura del mio intervento sul romanzo di Marinella Fiume vuole essere di carattere filologico- letterario, al fine di dare al lettore qualche spunto che possa permettergli di accostare questo romanzo con importanti opere della tradizione letteraria.
Non a caso, infatti, già dalla ripartizione del testo nei diversi e tanti, anche se pur brevi episodi, che compongono il romanzo è possibile rintracciare in esso la struttura tipica del romanzo a cornice, ovvero la storia di Costanza raccontata attraverso le tante e diverse storielle di vita, di esperienze dei diversi protagonisti che la scrittrice ci fa conoscere. La Fiume ritrae i personaggi, li descrive dal punto di vista fisico, psicologico, li fa muovere sulla scena quasi come fosse una rappresentazione teatrale, dando la possibilità al lettore quasi di vivere insieme con loro le esperienze narrate; e lo fa utilizzando, sapientemente un linguaggio semplice, diretto, quotidiano quasi a rasentare la cronaca giornalistica in alcuni casi, ma al tempo stesso ricco di riferimenti letterari, citazioni latine a volte accostate a termini siciliani, del nostro dialetto.
Infatti, la Fiume riesce a dosare abilmente la lingua dotta con il siciliano, anzi utilizza motti, proverbi ,modi di dire tipici del dialetto per enfatizzarne il significato, a rendere reale, vissuto l’episodio narrato.
Scorrendo tra le pagine del romanzo è possibile rintracciare tanti riferimenti a famose opere letterarie o a citazioni degli stessi. Si vedano ad esempio i riferimenti a Balzac e alla sua Commedia Umana, a Choelo del “Guerriero della Luce” o a Dante della Divina Commedia, o ancora l’amato Calvino delle Città Invisibili. Non a caso infatti, il titolo stesso del romanzo fa riferimento ad una delle sue città; e poi ancora le citazioni latine dei bestiari medievali, di Cesare Pavese o di Leonardo Sciascia de Il Giorno della Civetta e poi ancora di Saba e Montale, o gli episodi dell’epica classica, come la leggenda di Re Artù che abita le viscere dell’Etna.
Dal punto di vista stilistico, però, ciò che colpisce maggiormente è la sapiente capacità della Fiume di parlare di tanti e diversi temi, di farlo con semplicità ma con forza si vedano ad esempio le sue denunce contro la Mafia, il clientelismo, la corruzione e il disimpegno civile, la distruzione ambientale, mali questi, ormai atavici che affliggono la nostra Isola da sempre ma che qui attraverso la scrittura della Fiume sembrano prendere forza, coraggio, voglia di ribellione, di gridare il proprio no. Così personaggi semplici come un direttore scolastico, un colonnello delle forze armate, un prefetto di provincia o un semplice ragazzo che si rifiuta di pagare il pizzo diventano eroi, magari piccoli eroi ma che fanno sentire la propria voce e la propria voglia di cambiamento.
Interessante è segnalare, ancora l’utilizzo di termini siciliani in particolari episodi narrati, come ad esempio quando Costanza in una sua riflessione sul peso delle responsabilità che ha per la carica rivestita fa notare quanto sia naturale e non artefatto dire “A’sinnaca” in siciliano, quando invece la lingua italiana lo accorda solo al maschile, quasi a voler puntualizzare che quella non è una carica esclusivamente maschile o ancora, per farci comprendere meglio quale sia la condizione della donna in Sicilia utilizza termini quali “A’ picciotta” o “A’fimmina” utilizzati al posto dei nomi propri o in riferimento alla donna, quasi a volerne denunciare la non parità mai raggiunta tra uomo e donna.
Il romanzo della Fiume, a mio modesto parere, non è il semplice racconto di un’esperienza politica, ma è un racconto di una vita, la vita di Costanza vissuta pienamente con forza e coraggio.
Al lettore la Fiume non vuole raccontare una banale storiella, ma racconta la sua esperienza di donna e di rappresentante delle istituzioni in una terra difficile come la Sicilia negli anni peggiori della sua storia, in quella che viene definita la stagione delle stragi, quando la mafia sembrava avere avuto ormai il sopravvento, anni nei quali si disperava la tranquillità, la pace e la serenità. E’ in quella stagione che la Fiume vive la sua esperienza, cercando di ricreare, di comporre quel senso ormai smarrito di comunità, di appartenenza ad un gruppo sociale quale la realtà di un piccolo paese come Feudo del Mare: la città sognata, inesistente, o meglio invisibile alla maniera di Calvino.
E se Leopardi, considerato l’autore del pessimismo per eccellenza chiudeva una delle sue opere più importanti con una lirica dedicata alla Ginestra, pianta resistente ma soprattutto tenace, che cresce spontaneamente nei terreni più impervi e più improduttivi, alzandola a simbolo della speranza e della vita stessa, la dott.ssa Fiume non poteva non chiudere il suo romanzo con l’immagine del Carrubbo, anch’esso arbusto estraneo alla vegetazione della Sicilia,” ricca invece di limoni, agri da succhiare il succo quando prendi una botta di bile”, come dice il giardiniere di Costanza, per ribadire, invece, che nonostante tutto quell’albero, attecchirà, crescerà ed avrà fronde verdi e rigogliose, e diventerà il simbolo della forza di una terra, quale la Sicilia, che tanto ha penato, tanto ha sofferto ma che nonostante tutto non si abbatte, continua a sperare e magari cresce rigogliosa!!!
Tiziana Carmeci