Massimo Mucchetti è un lucidissimo giornalista. È l’unico a nostro parere che abbia le idee chiare sullo stato strategico, industriale e finanziario della Fiat di Torino. Molti altri giornalisti o per cattiva cultura o per scelta non hanno approfondito la mission di Fiat. Oggi sul Corriere della sera una seria analisi. Scrive tra l’altro Mucchetti: ” Tra il 1945 e la fine degli anni 80, la Fiat di Valletta, del primo Romiti e di Ghidella trainò la modernizzazione del Paese, riorganizzando la produzione e le relazioni sindacali. Ma la Fiat di oggi non è più l’ alfiere di una modernità forte che sa unire il Paese. È un gruppo in affanno progettuale, con un debito alto. I suoi azionisti, dopo aver tanto sbagliato con Giovanni Agnelli e tanto pagato (questo va detto), non vogliono più investire nel loro primo prodotto, l’ auto. Una scelta finanziaria legittima, ma atipica nell’ Italia industriale che si ostina ad amare le sue fabbriche più delle sue ville. La Fiat oggi fa arbitraggio internazionale di regolazioni pubbliche, aiuti di Stato esteri e relazioni sindacali. Lo fanno tutte le multinazionali. Ma c’ è modo e modo. Per la sua debolezza, la Fiat fa questo arbitraggio sfidando l’ Italia a seguirla al ribasso anziché coinvolgerla in un piano serio (dove sono i modelli nuovi e ottimi?) come invece fa Volkswagen in Germania”. Cognizione capace e vera.
Pierumberto Angeli
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