Kragujevac è la sede di Fiat nei balcani, precisamente in Serbia. Qui si produce la 500L, ultima uscita “dell’era Marchionne”. Gli operai serbi che lavorano nello stabilimento sono circa 2000 con un salario di 320 euro al mese. I lavoratori serbi con le ore di straordinario a volte sono in fabbrica anche 12 ore al giorno.
Così mentre in Italia a Pomigliano “resta tutto fermo” in Serbia si lavora con paghe di un quarto o di un quinto di quelle italiane.
Questo appena descritto è un ottimo esempio per far capire a cosa ha portato la globalizzazione e il neoliberismo: lo sfruttamento dei lavoratori sempre più massiccio a danno dei diritti di questi ultimi.
La “localizzazione in altro sito” è un fenomeno a cui sono soggette molte aziende italiane, soprattutto se multinazionali, le quali trovano “terreno fertile” in altri paesi con minore burocrazia, minori tasse, ma soprattutto manodopera a basso costo.
Una volta creatasi “la ricchezza” nel paese povero e sottosviluppato in cui si è decisi di situare la propria azienda allora si passa a situare la propria azienda in un altro paese ancora non sviluppato abbastanza e dove si possano sottopagare i lavoratori e privarli dei diritti essenziali.
Ma questo “gioco” può continuare all’infinito? Cosa succederà quando tutti i paesi avranno raggiunto un livello di ricchezza “adeguato”?
Forse si cercheranno nuove strade per lo sfruttamento dei lavoratori, si negheranno altri diritti, si ricorrerà a forme diverse di “soprusi legalizzati” da riforme del mercato del lavoro.
Queste sembrano essere le basi e le fondamenta del capitalismo contemporaneo: un capitalismo sempre più “aggressivo”, “sfruttatore”, “violento”, “senza scampo”, un capitalismo che ricorda molto quello del passato, quel capitalismo che portò a tante rivolte e manifestazioni all’ inizio del 1900.