I risultati ottenuti dalla Fiat nei primi sei mesi dell'anno sono esaltanti, ma a riempire di lacrime gli occhi degli operai sono i reportage sul "nuovo paradiso" che il manager dal pullover sgualcito è riuscito a creare in quella fetente città americana di Detroit dove nel 1934 il senatore Giovanni Agnelli scoprì i segreti dell'automobile.
E fa davvero impressione leggere i tre articoli di "Repubblica", "Sole 24 Ore" e "MF" sull'entusiasmo con cui gli operai di Chrysler si sentono recuperati a una nuova vita. "Noi che abbiamo visto la morte in faccia sappiamo che cosa vuol dire essere resuscitati e siamo orgogliosi di aver contribuito a questa rinascita della Chrysler grazie alla cura italiana".
Queste dichiarazioni le ha rilasciate ieri Cynthia Holland, un'opulenta e simpatica ragazza di colore, che l'inviato di "Repubblica" Salvatore Tropea (corifeo della Fiat) ha intervistato nel quartier generale di Auburn Hills, "un complesso che per grandezza è secondo solo al Pentagono e forse, dicono, alla ex-residenza di Ceaucescu". E la foto della stessa Cynthia appare anche in una corrispondenza del quotidiano "MF" con le parole "per noi l'arrivo della Fiat è stato una manna dal cielo. Eravamo morti e il Gruppo italiani ci ha riportato alla vita".
Gli ultimi operai di Mirafiori hanno divorato anche gli articoli del "Sole 24 Ore" che esaltano l'impresa di Marpionne e la bellezza dei capannoni "luminosi e puliti" di Chrysler dove si leggono cartelli simili a quelli degli stabilimenti giapponesi.
È evidente che l'ufficio stampa della Fiat e dell'azienda americana, guidato dalla mano di Gualberto Ranieri, ha lavorato bene per dare il giusto risalto ai risultati di bilancio e al nuovo mondo che si è aperto in America. Ma è altrettanto chiaro che con questi articoli "ispirati", il manager italo-canadese alza definitivamente il velo sul suo progetto di portare fuori dall'Italia il cuore dell'automobile.
Nella quiete estiva del quartier generale di Chrysler, Marpionne figlio del carabiniere Concezio, ha dato ulteriori argomenti alla strategia di disimpegno e disincanto dalla miserabile realtà italiana. E tanto per non smentirsi annuncia sempre su "Repubblica" l'intenzione di investire 1 miliardo di euro in Serbia per produrre due versioni della monovolume che attualmente esce da Mirafiori.
Poi con una faccia tosta incredibile nega di avercela con i dipendenti italiani, aggiunge che Pomigliano è un "working progress", e che sul tavolo ha altri dossier sulla Cina che potrebbero andare in porto in autunno.
Il velo è squarciato e ed probabile che dopo la lettura dei giornali di oggi anche i sindacalisti più sonnolenti come Bonanni e Angeletti comincino a capire come andrà a finire il futuro della Fiat. L'ha capito bene anche qualche commentatore e qualche studioso di trasporti. Tra i primi c'è Massimo Mucchetti, l'editorialista principe del "Corriere della Sera" che oggi attribuisce senza mezzi termini a Marpionne la volontà di giocare all'estero contro la madrepatria.
"Oggi Marchionne è forte. Sente di poter dettare le regole del gioco. I sindacati appaiono divisi e impotenti. Il Governo, ancora più debole, lucra consensi sull'estremismo della Fiom, ma intanto Termini Imerese chiude senza colpo ferire e Pomigliano rimane un rebus". Così scrive Mucchetti e aggiunge: "Marchionne gonfia i muscoli...manda il messaggio di un'azienda che non dimentica il pugno di ferro e detta i suoi aut aut a un paese che non esprimendo da troppi anni una politica industriale si balocca con la Fabbrica Italia di Marchionne, senza capirne i conti e senza avere un'idea sull'attrazione transatlantica che la Chrysler eserciterà, presto o tardi, sull'auto".
L'analisi è lucida e spietata, e appare sul giornale milanese di cui anche Fiat è azionista, ma non è l'unica voce in controtendenza. Basta vedere infatti le dichiarazioni degli economisti Giuseppe Berta e Carlo Scarpa, entrambi preoccupati per la rivoluzione sindacale calata dall'alto (Berta) e per il destino di Pomigliano che è diventano un pantano (Scarpa).
Alcuni anni fa chiesero a Gianni Agnelli se riteneva che l'Italia fosse la Repubblica delle banane e lui rispose con la solita ironia che vedeva più fichi secchi che banane. I fichi secchi e le mele marce della politica e del governo assistono distratti alla rivoluzione del manager dal pullover sgualcito che licenzia i sindacalisti con motivazioni pretestuose e butta ogni giorno benzina sul fuoco.
Nel grande edificio di Detroit il Marpionne amerikano ha piazzato la scritta: "Le cose che facciamo dicono quello che siamo". Per lui che vive nell'epoca dopo Cristo, cioè nell'era post-moderna della globalizzazione, non c'è spazio per le banane e i fichi secchi, né per quel pugno di operai che stamane si sono commossi e per i quali l'azienda ha annunciato ieri altre due settimane di cassa integrazione.