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Fidel castro e il suo pentimento verso i gay

Da Sabins
he Fidel Castro sia tornato alla vita pubblica ce ne siamo accorti tutti. Il Comandante è instancabile, continua a scrivere articoli d'opinione (in realtà non aveva mai smesso), benedice o esprime perplessità sui nuovi leaders latinoamericani, continua a chiedere, quasi ossessivamente, che si convinca Barack Obama a non scatenare una nuova guerra nucleare nella sua sfida con l'Iran, rivela manipolazioni politiche per controllare le ultime elezioni messicane, vinte da Felipe Calderón. Da un paio di giorni un'intervista-fiume (5 ore di conversazione) tiene banco sul quotidiano messicano La Jornada. Ne parlano su tutte le testate ispaniche, dei due lati dell'Atlantico, che cercano di interpretare il senso delle parole del Comandante, lucidissimo a 84 anni, e con la stessa abilità di sempre di non dire mai niente a caso. Nella prima parte dell'intervista, pubblicata il 30 agosto, ha colpito la semplicità e la lucidità con cui ha parlato della sua malattia e della voglia di vivere e di continuare a partecipare "in questo mondo di pazzi che voglio vedere come va a finire". Nella seconda parte, uscita ieri, parla della Cuba della crisi dei missili e dei primi anni della Revolución, ma i media internazionali riportano soprattutto le sue parole di critica alla persecuzione degli omosessuali, che è costata al castrismo molte simpatie.
L'autrice dell'intervista, Carmen Lira Saadre, scrive che "Fidel non scappa dall'argomento. Né nega né rifiuta le osservazioni. Chiede solo tempo per ricordare, dice, come e quando si è scatenato il pregiudizio nelle file rivoluzionarie. 50 anni fa, a causa dell'omofobia, si sono emarginati gli omosessuali a Cuba e molti sono stati inviati ai campi di lavoro militar-agricolo, accusandoli di essere controrivoluzionari". E Fidel commenta: "Furono momenti di una grande ingiustizia, una grande ingiustizia" ripete enfatico "l'abbia compiuta chiunque l'abbia compiuta. Se l'abbiamo fatta noi, noi… sto cercando di delimitare la mia responsabilità in tutto questo perché, ovviamente, personalmente, non ho questo tipo di pregiudizi". E la giornalista conferma: "Si sa che tra i migliori e più antichi amici ci sono omosessuali".
Fidel considera l'omofobia di quegli anni come una sorta di eredità delle tradizioni dell'isola; a Cuba, prima della Rivoluzione, si discriminavano non solo i negri, ma anche le donne e gli omosessuali. Ovviamente non è una giustificazione accettabile per Castro: "Non nella Cuba della nuova morale, di cui erano tanto orgogliosi i rivoluzionari di dentro e di fuori". E però non nega la responsabilità personale, che non attribuisce né al Partito né alla Revolución. "Se qualcuno è responsabile, sono io" afferma. E ammette che Cuba non seppe valutare in tempo il danno politico della persecuzione contro gli omosessuali. "Mi rendo conto che non abbiamo saputo valutarlo: c'erano sabotaggi sistematici, attacchi armati, si succedevano tutto il tempo: avevamo così tanti e tali terribili problemi, problemi di vita e di morte e non abbiamo prestato sufficiente attenzione a questo". Fidel dice di capire che la persecuzione agli omosessuali abbia danneggiato la causa di Cuba, soprattutto in Europa: "E' come quando pecca il santo, no? Non è la stessa cosa di quando pecca il peccatore". Durante l'intervista cerca di ricordare com'era la Cuba degli anni 60, con gli attentati contro di lui, con la CIA "che comprava tanti traditori, anche tra la stessa gente che ti era vicino", ma insomma, conclude: Se c'è da assumere la responsabilità, io assumo la mia. Non darò la colpa a un altro". E lamenta anche non aver fatto niente prima.
"Oggi però il problema si sta affrontando" scrive La Jornada "Con lo slogan L'omosessualità non è un pericolo, l'omofobia sì, si è celebrato recentemente in molte città del Paese la Terza Giornata Cubana della giornata Mondiale contro l'Omofobia. Gerardo Arreola, corrispondente de La Jornada a Cuba, dà puntuale conto del dibattito e della lotta in corso nell'isola sul rispetto dei diritti delle minoranze sessuali. Arreola riferisce che è Mariela Castro, una sociologa di 47 anni, figlia del presidente cubano Raúl Castro, che guida il entro Nacional de Educación Sexual (Cenesex), istituzione che, dice lei, è riuscita a migliorare l'immagine di Cuba dopo l'emerginazione degli anni 60. "Siamo qui, noi cubani e cubane, per continuare a lottare per l'inclusione, perché questa sia la lotta per tutti e per tutte, per il bene di tutti e di tutte" ha detto Mariela Castro all'inaugurazione della giornata, scortata da transessuali che sostenevano una bandiera cubana e un'altra multicolore del movimento gay. Oggi a Cuba gli sforzi per gli omosessuali comprendono iniziative come cambio dell'identità dei transessuali o le unioni civili tra le persone dello stesso sesso. Dagli anni 90 l'omosessualità nell'isola è depenalizzata, anche se non sono finiti del tutto casi di persecuzione della polizia. E dal 2008 si praticano operazioni gratuite di cambio del sesso".

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