Una storia moderna, una vicenda complicata.
Un padre, due madri, molte donne, ma soprattutto due figli: Emilio e Germano.
Romana Petri racconta in questo suo Figli dello stesso padre, candidato al premio Strega 2013, la complicata storia di due fratelli o fratellastri, completamente differenti tra loro sia nel carattere che nella formazione.
Emilio è timido, riservato, matematico e rispettoso delle regole mentre invece Germano è esuberante, ribelle, sportivo ed artista.
Differenza di età e differenza di percezione l’uno dell’altro:
per Emilio, di carattere introverso e di fisico minuto, Germano è il fratello più grande e rappresenta la sicurezza, il grande, il modello a cui ispirarsi;
per Germano, anticonformista in tutto e dal fisico prestante, Emilio è colui il quale gli ha distrutto la famiglia, la causa della separazione tra i suoi genitori e il motivo per cui il padre non garantisce più la sua presenza quotidiana.
Emilio ricerca l’affetto del fratello che invece non ne vuole sapere di lui.
Neanche la morte del padre comune li riavvicina, tutt’altro: il rito funebre altro non è che un motivo in più per alimentare il rancore di Germano.
Da qui comincia il libro.
Un invito spedito senza convinzione, una serie di antefatti che poco per volta riempiono gli spazi vuoti della storia familiare, qualche giorno di vita comune e una vicenda che tra alti e bassi, tra entusiasmi e delusioni, racconta di un rapporto difficile che si cerca di ricomporre.
La parte migliore tuttavia non risiede nel racconto in quanto tale, ma nelle cose non dette tra i due; nelle riflessioni che soprattutto riempiono la mente di Germano.
Germano ha tutto un suo perché:
riflessioni sulla morte, sulla sua imprevedibilità, sulla mancanza di certezza che rende impossibile un commiato ben preparato che non lasci nulla in sospeso.
Anche in Emilio esiste qualcosa di simile, una certa impressione che poche cose avessero senso come portare a termine un lavoro, ma tiene tutto per sé senza esternarlo.
La differenza sostanziale comunque sta nel come i due vedono la loro situazione personale:
per Emilio loro sono figli dello steso padre, ma di madri diverse e allora, se quelle donne erano diventate madri attraverso lo stesso uomo, che male c’era a vederle madri di tutte e due i figli?
Tanto più che le due madri erano diventate pure amiche.
Per Germano invece l’amore non si moltiplica, l’amore si fossilizza e basta, e lui lo voleva solo per sé.
Papà vuole più bene a me, me l’ha detto.
Un buon libro tutto sommato, un libro che nella cinquina finalista del premio Strega può trovare una collocazione se confrontato con gli altri titoli in concorso.
Come lettore le mie critiche sono sostanzialmente tre.
La coniugazione del passato remoto del verbo aprire suona come un qualcosa di aristocratico che mal si abbina al resto della scrittura.
La sonorità è importante a mio avviso e leggendo ad alta voce un passo come questo: Restò per un momento nuda in bagno a massaggiarsi il collo che le faceva male. Cambiò idea e decise di vestirsi. Aperse il comò della camera da letto e si infilò un paio di calzettoni di lana…poi si spazzolò i capelli la mia impressione è che suoni decisamente male e fuori luogo.
Come secondo appunto l’eccessiva lunghezza di alcune parti non fondamentali per la riuscita del libro; forse la mancanza di coraggio nel tagliare parti superflue. Un centinaio di pagine in meno non avrebbero tolto sostanza e forse avrebbero dato un maggior ritmo al tutto.
Terzo ed ultimo aspetto un finale fin troppo all’americana per i miei gusti; finale che comunque nulla toglie alle parti sostanzialmente più importanti del libro come la caratterizzazione dei personaggi e il contesto generale.
Tempo di lettura: 6h 41m