Figli di Caino

Da Firenze5stelle @firenze5stelle

PUBBLICATO DA MIRIAM

Sono dai 95 ai 105mila, circa,  i bambini in Italia che entrano in contatto con il carcere.

Alcuni di loro, si trovano in una condizione di separazione dal genitore detenuto, altri, invece, in una condizione di detenzione.

Secondo la legge italiana, infatti, le donne in attesa di giudizio o in esecuzione della pena possono finire dietro le sbarre con i propri bambini, se questi hanno da zero a sei anni.

Una misura che evita il dramma della separazione tra madre e figlio, ma che pone di fronte alla questione di piccoli innocenti, a loro volta reclusi.

Ai delicati problemi legati ai rapporti con i figli, per i detenuti, in Italia si aggiungono poi quelli del sovraffollamento delle carceri.

L’obiettivo, deve essere quello di tirare fuori dalle carceri tutti i bambini, accogliendoli in case famiglia Protette, dove i più piccoli possano vivere insieme alle loro mamme, oppure nei cosiddetti Icam (Istituti di custodia attenuata per madri detenute), sezioni speciali che propongono un modello di vita familiare comunitaria, in cui ai bambini è garantita un esperienza di vita e relazionale con il mondo esterno e per le madri ci siano corsi riabilitativi e di formazione, in vista di una nuova vita fuori dalla struttura.

I bambini costretti a trascorrere l’infanzia dietro le sbarre, insieme alle loro mamme, oppure obbligati a incontrare i padri in carcere, per qualche ora alla settimana, spesso nelle celle, vivono relazioni alterate, affetti interrotti e, traumi difficili da superare, che si ripercuotono, inevitabilmente, sullo sviluppo psicofisico e nella strutturazione della loro personalità.

È una realtà sommersa, nonostante siano migliaia i bambini che hanno un genitore detenuto. Ragazzini, di diverse età, hanno un genitore dietro le sbarre, mentre sono circa 70 i bimbi che vivono in cella con le proprie madri, in una situazione di detenzione, oppure interagiscono con gli istituti penitenziari durante i colloqui settimanali.

Figli che, in un modo o nell’altro, condividono le pene: in palese violazione alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, che vuole sì garantito e protetto il diritto del bambino a crescere con i propri genitori, ma in un ambiente adeguato. Convenzione Onu, ciascuno bambino ha il diritto di vivere con i propri genitori o di incontrarli regolarmente se non può abitare con loro.

È uno dei punti fondamentali contenuti nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Onu (documento approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificato dall’Italia nel 1991); all’articolo 9 si definisce, come nel caso di figli di padri e madri detenuti, che i bambini «non siano separati dai genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente del fanciullo».

Non solo: il bambino separato da entrambi o da un genitore deve «intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo». Secondo la Convenzione, dunque, la priorità deve sempre essere il mantenimento della relazione figlio-genitore e la tutela del diritto del bambino alla continuità del legame affettivo familiare.

Il carcere non è un ambiente idoneo perché si insaturi una relazione serena e costruttiva con genitori. Le conseguenze sono molteplici:«Il bambino e l’adolescente in carcere si trovano ad esperire un ambiente con regole e comportamenti definiti, passaggi obbligati e con un impatto emotivo molto forte.

All’interno vige un sistema, che per esigenze di ordine e controllo, è rigidamente organizzato, caratterizzato dalla regolarità dei ritmi, dall’uniformità degli atteggiamenti e dalla costruzione di valori comuni in cui è spesso difficile considerare, gestire e promuovere altre dimensioni come la sfera dell’affettività, il rapporto con l’esterno e soprattutto il sostegno e la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza che si trovano coinvolte in simili circostanze.

Il rapporto con il proprio genitore rappresenta un bisogno e un diritto fondamentale, indispensabile per un’armoniosa crescita del minore, che non può essere ignorato o negato e che deve essere il più possibile favorito e migliorato».

È quindi importante che i bambini possano incontrare i genitori in spazi adeguati al loro sviluppo psicofisico e, soprattutto, che venga sostenuta la continuità del rapporto con i genitori per prevenire i traumi d’abbandono.

Secondo la rete di associazioni europee Eurochips, le ricadute sociali di situazioni che non rispettano i bisogni dei bimbi possono essere molto gravi: il 30% dei figli di detenuti, in mancanza di interventi e di risposte adatte, rischiano di diventare futuri detenuti.

E anche i genitori, secondo l’associazione, hanno dei benefici se il rapporto con i figli è positivo: il rischio di problemi disciplinari, ad esempio, si riduce del 40% e anche la recidiva si abbassa se un padre può incontrare regolarmente e serenamente il figlio.

Al momento della separazione dalla madre, il bambino si trova catapultato in una nova realtà, sconosciuta e priva della figura di riferimento.

Nei primi anni di vita, il bambino guarda il mondo filtrato dal rapporto genitoriale, non c’è preparazione terapeutica che possa preparare il minore ad un distacco simile.

Ma che cosa dice la legge italiana sul tema dei figli di genitori detenuti? La legge, la 40/2001 (Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori) sulla carta prevede il diritto alla detenzione domiciliare speciale per le mamme già condannate, ma solo laddove ci siano alcune condizioni: l’assenza di recidiva, la non pericolosità, l’aver scontato almeno un terzo della pena, il disporre di un domicilio. Tutti requisiti, però, che raramente si verificano e che rendono praticamente inaccessibile un’alternativa al carcere per la stragrande maggioranza delle detenute. Molte di loro, infatti, non hanno una casa, sono ancora in attesa della pena definitiva o, ancora, hanno commesso reati per i quali c’è un pericolo di recidiva (come l’uso, lo spaccio di droghe o la prostituzione). La proposta di legge 1814 per modificare il codice penale e il codice di procedura penale, con lo scopo di favorire i rapporti tra detenute madri e figli minori e per l’istituzione di case famiglia protette.

Il disegno di legge è rimasto fermo in Commissione giustizia della Camera dal 2008. Altra mancanza legislativa in Italia, legata al compimento del terzo anno d’età dei bambini,(solo di recente innalzato al sesto anno): non sono previste, norme che regolino interventi strutturati per tutti quei minori, che vengono allontanati dalla madre dopo i primi anni di vita. Quanto agli spazi in carcere destinati ai colloqui tra genitori e figli, previsti dalla legge italiana e dal Decreto del presidente della Repubblica «Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà» (giugno 2000, n. 230), va rilevata la carenza delle Istituzioni nel farsi carico della loro realizzazione. Questa carenza legislativa cosa ha comportato sulla salute dei bambini? Il 20% dei neonati di mamme detenute nasce inoltre prematuro, mentre fuori dal carcere la percentuale scende al 9% fra gli stranieri e al 5% fra gli italiani. Anche lo svezzamento avviene prima: il 70% delle madri recluse decide di allattare, ma smette mediamente dopo cinque mesi. Giovanna Longo, responsabile dell’area educazione all’Icam di Milano, la descrive come una sezione di custodia attenuata dove la mamma detenuta viene ospitata con il bambino. Basata su un modello di vita familiare comunitaria in cui il benessere del piccolo è al centro. “Il carcere non è un luogo adatto ai bambini: non ci sono gli stimoli e le attenzioni di cui ha bisogno.

All’Icam invece i bambini vengono inseriti nell’asilo nido del territorio, mentre le mamme (che da noi sono quasi tutte straniere) vengono accompagnate in un percorso scolastico per favorirne l’emancipazione e il reinserimento. Al compimento del terzo anno, ora prolungato al sesto anno, d’età il bambino esce e la mamma, se la sua detenzione non è terminata, viene trasferita in un altro istituto carcerario”.

La separazione dalla mamma comporta un trauma doppio: sia sul minore, sia sulla madre, che deve accettare una separazione forzata. Lavorano in sinergia con lo psicologo e con il tribunale dei minori per accompagnare la mamma e il bambino verso la separazione, che è un momento di grande fragilità.

Maggiori criticità per le mamme e i bimbi in carcere: In carcere non è possibile impiantare una dimensione comunitaria. Invece all’Icam le mamme si fidano degli operatori, si trovano in un contesto più familiare, sono loro stesse a chiedere che i figli vengano inseriti nei nidi di zona. Qui i bambini hanno la possibilità di costruire una relazione equilibrata con le mamme, di sviluppare le loro sicurezze e certezze.

Tutto questo è reso possibile dal lavoro di educatori, operatori e volontari (come quelli di Telefono Azzurro) che hanno saputo creare una rete protettiva, a misura di bambino. “Il carcere è un ambiente con regole e comportamenti definiti, passaggi obbligati e con un impatto emotivo molto forte”. Limiti e falle della nuova legge. Un cambio di rotta nella legislazione potrebbe fare molto per migliorare la situazione. “Un anno fa si è discussa una nuova legge sulle detenute madri, che entrerà in vigore dal 2014, ma è cambiato ben poco .

Il limite dell’età del bambino è stato alzato ai 6 anni, ma il problema delle recidive e delle donne senza fissa dimora resta. Inoltre la madre non può nemmeno accompagnare, se non a discrezione del giudice di sorveglianza, il figlio in ospedale o a una visita specialistica, e tanto meno assisterlo”.

All’inizio la legge era di ben altro calibro, ma nel passaggio dalla Camera al Senato è stata in gran parte snaturata. “L’onorevole radicale Rita Bernardini – ha spiegato che questo svuotamento degli intenti originari è stato il frutto di un accordo bipartisan per accontentare la Lega che aveva insistito per la sicurezza”.

Lo spiega bene Eugenia Fiorillo, educatrice nel Carcere femminile di Rebibbia, quando nel documentario di Luisa Betti afferma: “In questo caso al centro sta sempre l’adulto, non il minore.

E la legge pensa solo alla salvaguardia della società, non del rapporto madre-figlio”. Prossimi obiettivi. “Sul destino della detenuta e di suo figlio decide sempre il magistrato di sorveglianza, a sua discrezione – puntualizza Francesca Koch, presidentessa della Casa delle Donne –. Permessi, detenzione domiciliare, revoca delle misure, tutto. Anche se recentemente si è riusciti ad ottenere che, per le visite di emergenza ai figli in ospedale, ora vale anche la decisione della direttrice dell’istituto”.

Piccole e grandi vittorie conquistate, ricordano al Museo della Liberazione, anche grazie all’incessante lavoro della combattente per i diritti civili Leda Colombini, deceduta per un malore  a 82 anni, proprio mentre svolgeva la sua quotidiana opera di volontariato al carcere di Regina Coeli di Roma. “Il bambino non deve stare in carcere, non può pagare per la pericolosità sociale” spiegano le associazioni, che hanno preparato una lettera da inviare al Ministro dell’Interno e a quello della Giustizia. Un altro obiettivo è la creazione di un Icam (Istituti Custodia Attenuata per Madri) in altre città. “Per ora in Italia ne esiste solo uno, a Milano – spiegano le associazioni – e allora noi chiediamo: perchè non spostare un po’ di fondi per l’edilizia penitenziaria verso gli Icam? Anche se – aggiungono infine – senza una modifica del regolamento penitenziario, qualsiasi abbellimento delle strutture di detenzione sarà comunque inutile”.

La scorsa settimana la Camera dei Deputati ha approvato il testo unificato delle proposte di legge Brugger e Zeller; Bernardini ed altri; Ferranti ed altri recante Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori (C.52 – C.1814 -C.2011-1). Il provvedimento passa ora all’esame dell’altro ramo del Parlamento.

I punti salienti del provvedimento sono:

• Custodia cautelare. Viene aumentata da tre a sei anni l’età del bambino al di sotto della quale non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare della madre in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (art. 275 co.4 cpp). In presenza di tali esigenze, attraverso l’introduzione dell’art. 285-bis c.p.p. si prevede la possibilità di disporre la custodia cautelare della donna incinta, della madre di prole di età non superiore ai sei anni in un istituto a custodia attenuata per detenute madri (ICAM), sempre che le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano;

• Diritto di visita al minore infermo, anche non convivente, da parte della madre detenuta o imputata. Attraverso l’introduzione dell’art. 21-ter nell’ordinamento penitenziario, viene stabilito l’obbligo per il magistrato di sorveglianza o, in ipotesi di assoluta urgenza, per il direttore dell’istituto, di concedere il permesso alla detenuta o all’imputata di visitare il minore malato in imminente pericolo di vita o in gravi condizioni di salute, e di assisterlo durante le visite specialistiche con modalità che, nel caso di ricovero ospedaliero, devono tener conto della durata del ricovero e del decorso della patologia;

• Detenzione domiciliare (articolo 47-ter) e detenzione domiciliare speciale (art. 47-quinquies O.P.). La novella prevede che la donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente possa espiare la pena della reclusione non superiore a quattro anni, nonché la pena dell’arresto anche presso una casa famiglia protetta (oltre che nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza).L’attuale art. 47 quinquies, in materia di detenzione domiciliare speciale delle condannate madri di prole di età non superiore a dieci anni, prevede che, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, le detenute madri possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo.

Il nuovo comma 1-bis dispone che il terzo della pena o almeno quindici anni possano essere espiati presso un ICAM, o, se non sussiste in concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o concreto pericolo di fuga, nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza; in caso di impossibilità di espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora presso le case famiglia protette allo scopo realizzate. Tale disciplina non si applica, tuttavia, nel caso di condanna per i reati di grave allarme sociale di cui all’articolo 4-bis O.P.;

• Individuazione di case-famiglia protette. Spetterà ad un decreto del Ministro della giustizia la definizione delle caratteristiche tipologiche delle medesime (anche con riferimento ai sistemi di sorveglianza e di sicurezza) e, sulla base di tali caratteristiche, l’individuazione delle strutture gestite da enti pubblici o privati idonee ad essere utilizzate come case-famiglia protette. Creazione di un sistema sanzionatorio differenziato, sistema che consentirà al giudice, nell’ambito della discrezionalità accordatagli dagli artt. 132 e ss. c.p., di effettuare le opportune valutazioni al fine di rendere la pena adeguata, nella natura e nella misura, anche al recupero sociale del reo e, a tutela della funzione genitoriale, al rapporto genitori-figli.

A Firenze è stata individuata una struttura per accogliere mamme e bambini, è la villa di Via Fanfani che la Madonnina del Grappa ha messo a disposizione di Sollicciano.

La Regione Toscana ha garantito i finanziamenti per la ristrutturazione e a breve verranno avviati i lavori.

La legge statale (62/2011) si prefigge l’obiettivo di creare delle strutture adeguate presso le quali le donne in stato di detenzione, e i loro figli, possono vivere in un contesto diverso e alternativo al carcere, più idoneo a rispondere alle esigenze di crescita dei bambini

Le donne condannate a pene detentive con figli minori non saranno più detenute in carcere fin quando il bambino non avrà compiuto il sesto anno di età (nel regime vigente il limite è di 3 anni di età), se non nella ipotesi in cui vi siano “esigenze di eccezionale rilevanza” (in tal caso la detenzione sarà disposta presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri - c.d. ICAM).

Così dispone la Legge 21 aprile 2011, n. 62 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 5 maggio 2011, n. 103) recante “Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”. Le norme previste saranno applicabili anche ai padri, nel caso in cui la madre sia deceduta oppure assolutamente impossibilitata all’assistenza dei figli. Le nuove regole scatteranno a partire dal primo gennaio 2014.

Nuove regole sono previste anche per quanto concerne il diritto di visita al minore infermo, anche non convivente da parte della madre detenuta o del padre. Nella ipotesi di imminente pericolo di vita o anche nel caso di gravi condizioni di salute, il magistrato di sorveglianza potrà concedere il permesso con provvedimento urgente alla detenuta o imputata (o al padre) per far visita al figlio malato, con modalità che devono tener conto (nel caso ad esempio di ricovero ospedaliero) della durata del ricovero e anche del decorso della patologia. Nelle ipotesi assolutamente urgenti il permesso viene concesso dal direttore dell’istituto.

Viene, altresì, previsto il diritto della detenuta o imputata (o del padre) di essere autorizzata dal giudice all’assistenza del figlio minore durante visite specialistiche, con un provvedimento che dovrà essere rilasciato non oltre le 24 ore precedenti la data della visita. Altra novità concerne gli arresti domiciliari delle condannate incinte (o madri di figli con età inferiore a 10 anni), in quanto con la normativa prevista dal disegno di legge in commento si prevede che le condanne, in tal caso, possano essere espiate fino a 4 anni presso una casa famiglia protetta.

Il Ministero della Giustizia dovrà definire, con apposito decreto, le caratteristiche tipologiche delle strutture. Nel caso in cui non vi sia concreto pericolo di fuga o, comunque, di commissione di altri delitti, e vi sia, inoltre, la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, le detenute potranno espiare la pena nella propria abitazione o, in ogni caso, in altro luogo privato o luogo di cura dopo aver scontato almeno un terzo della pena o almeno 15 anni nel caso di condanna all’ergastolo.

La crescita del nostro paese dipende dalle nuove generazioni, investendo sulla loro tutela e garantendone i diritti, li educhiamo al rispetto, alla legalità, fornendogli le basi per un futuro migliore.

Fonti:

http://www.giustizia.it/

http://www.informacarcere.it

http://parlamento.openpolis.it/

http://www.senato.it

http://www.altalex.com


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