La statistica suggerisce la probabilità che in quel frangente di colleghi ce ne fossero un po' di tutte le età, vicino a te, giovanissimi neolaureati, di quelli che magari vivono ancora coi genitori, meno giovani, sposati da poco, alcuni con figli piccoli che la notte li fanno andare fuori di zucca, e impiegati - chiamiamoli - "maturi", di quelli che non vedono ancora il traguardo della pensione, ma che sono ormai fuori dalle logiche dei pannolini o della discoteca, uomini potenzialmente tranquilli, insomma. Eppure tutti, giovani, vecchi, uomini, donne, invariabilmente tutti quanti, ti guardano e fanno segno di no con la testa. «Figurati!» dice uno. Lo sguardo al marziano di poco fa è diventato l'espressione che si riserva a uno che non capisce un cazzo, la qual cosa in effetti non esclude la prima. «No, no!» esclama un'altra, quasi con il terrore che le tue parole possano essere prese sul serio da qualcuno. «E poi cosa cazzo faccio se rimango a casa?» aggiunge un terzo, sgomento. «Spendo!» si risponde da solo un istante dopo, dando voce al traguardo di un ragionamento tutto suo. «Eh sì» annuisce quella di prima. «Se stai a casa, cosa fai?» alza le spalle, «finisce che vai a farti un giro al Centro Commerciale...» e da lì a tirare fuori il bancomat per portarti a casa qualcosa che non ti serve, anzi, di cui fino a mezzo minuto fa non sapevi neanche l'esistenza, non è niente di più di un battito di farfalla che vola di fronte alla borsa di Hong Kong.
Dice eloquentemente Paolo Cacciari nel suo Pensare la decrescita:
"[il lavoratore si riduce a essere un] biodigestore che metabolizza il salario con le merci e le merci con il salario, transitando dalla fabbrica all'ipermercato e dall'ipermercato alla fabbrica."E non è forse questa l'altra faccia dello stesso perverso circuito di (dis)valori responsabile, nei contesti finanziari, della dipendenza dal profitto a tutti i costi come (unica) virtù da perseguire, e tutto il resto intorno a fare da semplice accidente collaterale, quando non ostacolo da cercare di rimuovere a qualunque prezzo? Vivere-per-essere-ricchi e vivere-per-comprare sono due aspetti complementari di realizzazione individuale nell'avere. Solo che in questo caso la spirale è - se possibile - tremendamente più triste e prosaica e, per questo, tragica, perché testimoniata da individui che, pur subendola in toto, l'hanno fatta propria come normale (anzi ovvio) stile di vita, abituale modo di essere e di vedere le cose, anzi addirittura l'unico possibile, in quanto nella loro prospettiva non ha alcun senso prendere in considerazione alcunché di diverso, tipo sedersi e provare piacere dal leggere un libro, realizzare un lavoro a maglia, dipingere in riva al mare, fare del bricolage, giardinaggio, trekking, piuttosto che dal sentire il brivido del rumore della strisciata di una carta di credito o dall'accarezzare con lo sguardo la pendenza positiva del grafico dei guadagni dell'ultima speculazione in borsa che hai fatto.
La percezione del tempo libero dunque non è (più) vista come un'inestimabile ricchezza a credito dell'individuo in quanto fonte di arricchimento e di potenziale realizzazione sociale, culturale, familiare, personale, bensì come una voce a debito nel bilancio dell'esistenza personale in quanto portatrice di spese (per lo più inutili, ma - ahimè - inevitabili!), meglio ancora se in comode rate mensili a un tasso speciale* fatto apposta per te (prima rata a partire da gennaio 2012).
/continua
(*offerta valida solo fino al 31 ottobre 2011)