sarà stato il 1989, o forse il 90. ma, a giudicare dal mio grado di tontonaggine su alcuni argomenti, non ci metterei proprio una mano sul fuoco, che non fosse stato qualcosa come il 93. ci troviamo in taverna, nella vecchia casa. la famosissima taverna nella quale si consumavano pantagrueliche cene con quei soliti 20 amici che rendevano tutto più bello. il pomeriggio era passato giocando, naturalmente, con la ben varia parte figliale, di solito si era una decina. momento topico in cui mio cuggino, quello grande, quello che era il più simpatico e sapeva sempre tutto, racconta una barzelletta. si, beh, carina, l’immagine che richiama è assai buffa. quindi rido come gli altri, consapevole del figurone che farò a raccontarla a cena coi grandi.
tavolo lungo strapieno. tavolo piccolo idem. è arrivato il momento dei bagigi, dei pistacchi, delle noci e delle chiacchere (etiliche, avrei capito in seguito). decido che è arrivato il momento.
“hem hem” (…) “sapete chi è quello che arriva subito?“
(mio cugino mi fissa attonito. mia madre pure, ma ha più uno sguardo interrogativo che recriminatorio)
“flash” (ormai ci sono dentro, tanto vale andare avanti)
“e quello che non arriva mai?“
(ora gli sguardi sono peggiorati)
“flosch” e rido. ma tutta , dico tutta tutta la tavolata è muta e mi fissa. mio cugino guarda in basso, mia mamma mi chiede chi mai me l’abbia raccontata, con lo sguardo de fuego. guai in vista, e non capisco il perchè.
dopotutto, nella mia testa, l’immagine di flash prima
e di flosh dopo mi era parsa molto buffa. cioè, questo, che cercava di camminare tutto stanco, coi fulmini tutti scesi e la faccia con le occhiaie mi faceva perfino tenerezza.non so quanti anni dopo (all’università), durante una discussione con le mie coinquiline su diversi modi di dire (discorsi degni delle migliori bettole da camionista), mi viene un atroce dubbio, e la mia memoria mi richiama subito alla figuraccia, a detta mia, senza motivo. in quella originale di mio cugino, il termine usato non era “arriva”. era “viene”.