Abito qui da quando sono nato. Mi piace il verde. Mi piace perché fa ombra, quando le giornate sono assolate. Mi piace perché ripara dalla pioggia. Mi piace anche in mezzo alla nebbia. Questo è il mio “habitat”, Filbert Street. Lì in quella casa bianca con la palma davanti ci abita la famiglia Worth. Lui è avvocato, lei una giornalista di cronaca rosa. Vanno sempre di corsa, così di corsa che non hanno il tempo neppure di parlare. Anche la sera si dividono mentre lei va di corsa sulla cyclette davanti alla televisione a veder noiossissimi film romantici e lui come un forsennato, batte di corsa i tasti sul computer. L’altro giorno poi hanno discusso, credo per avere un figlio, ma andavano troppo di corsa per concludere la discussione. Loro è inutile salutarli quando escono di casa, corrono troppo sulle scale di Filbert. Puoi gridare a squarciagola, non ti sentiranno mai. Invece nella casa rossa, sì quella rossa con i gerani (rossi naturalmente) alla finestra, ci abita un certo Gib un tipo strano. Dipinge sempre. Prende le tele e si mette a dipingere qui sugli anfratti delle scale. Dipinge, alberi, foglie, fiori e un paio di volte ha dipinto anche me.
Ecco lui se lo saluti ti dipinge, ma non contraccambia. Poi nel palazzo decò, quello bianco con Colombo che scruta l’orizzonte e Bogart alla finestra ci sono tante famiglie simpatiche. I Glanville che hanno due bambini, che tirano aeroplanini di carta dalla finestra della loro camera. Provano a colpirmi… Illusi! Ci sono i Coleman, sempre indecisi su tutto, dal colore delle pareti alla marca di cereali. Se li saluto loro rispondono, ma restano indecisi se dirmi buongiorno o buonasera. I miei preferiti sono i Pansy, Lydia e Charles. Avevano un negozio di fiori giù all’Embarcadero, ora sono in pensione. Ecco, loro sono i miei preferiti. Ci portano sempre la merenda… a me e ai miei fratelli. A noi i semi piacciono tantissimo e prendono sapore con le bacche rosse che troviamo sui cespugli. Loro li puoi salutare dalla mattina alla sera e ti risponderanno sempre. Sicuramente tra poco arrivano… io li aspetto qui, su questo cespuglio ai margini della strada, così ho la certezza di essere il primo a prendere il posto d’onore… atterro sempre sulla testa della signora Pansy. E lei mi passa sempre più semi rispetto agli altri che si devono azzuffare sulle mani del povero Charles.
Ecco stanno uscendo, che vi dicevo? Sono pronto per la merenda…
Ma oggi lei è sola? E non ha neppure i semi… Va verso la panchina… non viene al cespuglio?
Chiudo gli occhi. Pausa.
Ho le ali pesanti per arrivare alla panchina, ho paura di vedere il suo sguardo, di sapere quello che già immagino. Poi lo trovo il coraggio, mi stacco dal ramo lasciando i miei fratelli a ingozzarsi di bacche e volo da lei.
“Ciao May!” poi fa una pausa. “Charles non c’è… Va così… una vita passata insieme… l’età… gli acciacchi… e poi un bel giorno ti svegli e sei sola!”
Io piego un po’ il collo, vorrei avere un’espressione facciale, ma a noi pappagalli non l’hanno data, però so che lei capisce lo stesso.
“Sei affamato vero?”
E’ la prima volta in vita mia che non ho fame.
“Aspetta qui, vado a prenderti i semi…”
Se sapessi formulare una frase invece di singole parole sconclusionate, direi “Lascia stare i semi e invece parlami di voi, di voi due insieme… che io prima o poi dovrò formare la mia coppia e vorrei che avessimo lo stesso sguardo sul mondo”. Ecco questo direi, ma io non lo so dire. Così la osservo che rientra in casa ed esce poco dopo con i semi.
Non so se volarle in testa finché lei non fa il gesto di mettersi il seme sui capelli.
Così il rituale ha inizio come tutti i giorni. E’ un modo di ricordarlo per noi, di sentire che comunque Charles è qui. Lei si avvia verso il cespuglio con me in testa che mangio i semi. Appena la vedono i miei fratelli volano sulle sue mani come facevano con quelle di Charles. Vedo che sorride, che le fa bene il gesto che sta facendo… poi mi volto verso la fine della strada e capisco perché sorride… Anche se non realizzo all’instante… Poi metto a fuoco e vedo Charles.
Lui si avvicina e ha in mano un sacchetto di semi, continuano a tenere i loro sguardi calamitati l’una nell’altro. Poi man mano che la distanza si riduce, lo sguardo di Charles si abbassa. Quando arriva accanto al cespuglio ha lo sguardo a terra.
“Sono…”
“Lo siamo tutti e due!” risponde Lydia.
“E’ che mi sento vulnerabile… ogni giorno di più… è quella paura di sentirsi gli anni addosso… ho pensato che un giorno ti saresti svegliata e mi avresti visto come un peso… e non volevo distruggere i ricordi di una vita con questa immagine… l’unica soluzione era andarmene via…”
“Shhhhh! Che sentono queste baggianate!”
Un sorriso incredulo affiora sulle labbra di Charles “Ma chi? I pappagallini?”
“Sì, loro! May è intelligentissimo!”
Sì, lo so, io lo sono davvero. Ma sono anche felice di sentire la risata fragorosa di Charles che si fonde con quella più maliziosa di Lydia. Ecco loro sono una vera coppia di pappagallini!
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