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In questi anni lavora quasi esclusivamente a Torino, e in via san Domenico costruisce la sua casa-studio su un terreno che il re gli ha donato (demolita nel 1932 AAARGHHH), ma grazie ad una licenza del re si reca ancora una volta a Lucca per curare una variante al suo vecchio progetto del palazzo pubblico e nel frattempo riesce ad infilare anche i progetti per il duomo e per una villa privata. Torna a Roma nel dicembre 1724 e progetta ben quattro varianti del palazzo del conclave, sono tutte talmente monumentali che vengono giudicate inattuabili, ma gli valgono la carica di Architetto della Fabbrica di san Pietro, carica di cui in tempi passati era stato investito nientemeno che Bernini. Il suo studio si avvale di un a quantità enorme di collaboratori, e questo gli permette di occuparsi praticamente di tutto, anche di urbanistica, con un piano per la risistemazione dell'area di palazzo reale e un altro per la contrada di Porta Palazzo, progetta anche di demolire il palazzo reale per far posto ad un grandioso nuovo duomo, ma è solo uno dei suoi tanti progetti irrealizzabili. Tra i cantieri che invece arrivano a compimento ci sono le ristrutturazioni dell'Accademia militare e degli Archivi di corte, il progetto del nuovo Teatro Regio (sarà poi costruito da Benedetto Alfieri) che Juvarra collega al palazzo con una galleria, per evitare alla famiglia reale il fastidio di salire in carrozza. Fuori dalla cinta cittadina progetta la palazzina di Stupinigi,
(questa foto, come si può facilmente intuire, non è mia ma proviene da qui)
un capolavoro assoluto in cui, secondo il Dizionario Biografico Treccani,
....L'impianto a bracci incrociati in diagonale irraggiati dall'ovale del salone centrale dell'edificio, oltre a modulare geometricamente il rapporto tra architettura, paesaggio e città, al culmine di una lunga sperimentazione sul tema, fu alla base di una scenografica declinazione architettonica, audace strutturalmente e innovativa per chiarezza e permeabilità degli spazi, che ne fecero un caposaldo dell'architettura europea del Settecento......
Intorno al 1730 Filippo Juvarra è il più autorevole architetto italiano del momento. Viaggia come una trottola, lo troviamo nel Cuneese, a Brescia, ancora una volta a Lucca, e poi Como, Bergamo, di nuovo Roma dove soggiorna per qualche mese grazie ad una licenza concessagli da Carlo Emanuele III, succeduto al padre nel 1730. A Roma però tutti i progetti su cui puntava: la costruzione della sagrestia vaticana, il concorso per la facciata di S. Giovanni in Laterano e il monumento funebre di Benedetto XIII, vanno a monte e Juvarra torna amareggiato a Torino. Il lavoro non gli manca e a Parigi, per conto del principe di Carignano, progetta un'altra opera monumentale che non vedrà la luce: una enorme piazza ovale con colonnato e arco di trionfo in onore di Luigi XV. A Torino avvia i lavori per la galleria della Regina e per gli archivi privati del re
a Belluno progetta il campanile del duomo, a Vercelli ristruttura il seminario arcivescovile. Lo chiamano a Mantova per una consulenza sul progetto per la cupola della chiesa di S. Andrea e a Milano per un intervento sulla facciata del duomo. Filippo V lo incarica di progettare il nuovo palazzo reale, e lui, ancora prima di arrivare a Madrid il primo aprile del 1735, ha già cominciato a lavorare ad un grande palazzo con quattro cortili che dovrà essere la reggia più grande d'Europa. Nei dieci mesi che seguono si occupa anche del palazzo di Aranjuez e della Granja di San Ildefonso, poi si ammala di polmonite. Muore a cinquantotto anni, il 31 gennaio 1736. Il suo palazzo verrà terminato, ma in versione molto ridimensionata e modificata, dal suo allievo G.B. Sacchetti.
E per chiudere, parliamo dello scalone delle Forbici a cui avevo accennato all'inizio.
Realizzata per sostituire la modesta scala di legno esistente e dare un accesso aulico all'appartamento nuziale dei futuri sposi, il principe ereditario Carlo Emanuele futuro Carlo Emanuele III, e Anna Cristina di Baviera Sulzbach, Filippo Juvarra la immagina con un impianto a tenaglia, che scarica il peso sulle pareti perimetrali, e una ardita rampa superiore centrale completamente libera da sostegni laterali e che viene sostenuta solo dai pianerottoli,
La decorazione in stucchi bianchi è tutta un tripudio di corolle e conchiglie, e il bianco assoluto della struttura contribuisce a dare un'impressione di grande leggerezza.
In molti durante la costruzione spettegolano sulla instabilità di questa scala e giurano e spergiurano che una struttura così non può stare in piedi ma, quando finalmente arriva il momento della inaugurazione, tutti devono constatare obtorto collo non solo che la scala se ne sta perfettamente al suo posto, ma che Juvarra si è levato il fatidico sasso dalla scarpa. Infatti nel punto critico della struttura, il primo che secondo le malelingue avrebbe dovuto cedere rovinosamente a terra, ha piazzato un soave e candido tondo decorativo
che rappresenta, senza lo scudo di incomprensibili allegorie, un bel paio di forbici che taglia le lingue biforcute
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