Per chi di solito viaggia a pane e citazioni di Arnold Schwarzenegger, la decisione di recensire una commedia drammatica svedese è una deviazione traumatica dalla cosidetta “comfort zone”. Per questo motivo, ho deciso che le mie considerazioni sull’eccezionale “Force Majeure” di Ruben Ostlund saranno regolarmente interrotte da... citazioni di Arnold Schwarzenegger.
“Force Majeure” è il risultato di una co-produzione franco-svedese: ha ricevuto consensi un po’ ovunque ma è stato escluso dal gruppo dei cinque candidati a miglior film straniero agli Oscar di quest’anno.
Il film racconta di una famiglia, in vacanza in una località sciistica in Francia, che si trova di fronte a una valanga e deve confrontarsi con le conseguenze di quell’evento traumatico.
Letta così, sembra la trama di un classico thriller sul genere “uomo contro natura”. In realtà, “Force Majeure” è il film più angosciante e al contempo divertente che abbia visto in questi primi mesi di 2015.
È deliziosamente “cattivo” nella composizione dei ritratti umani che mette in scena, partendo da una situazione tanto apparentemente ordinaria quanto potenzialmente complessa. Usa l’evento scatenante, la famosa “causa di forza maggiore”, per scavare nella psicologia dei suoi personaggi senza retorica o melodramma ma con un’onestà e una ricerca della verità dissacranti e maniacali.
Già da questo paragrafo, avrete capito che mi è piaciuto. Ebbene sì. Mi è piaciuto un film d’autore svedese. Ma facciamo una pausa e torniamo da Arnold Schwarzenegger.
Ambientato in un lussuoso resort di montagna, di quelli che sembrano letteralmente scavati dentro la roccia, “Force Majeure” segue le vicende di una famiglia di quattro persone che lottano per risolvere conflitti e placare tensioni irrisolte scatenate da un proverbiale “catalizzatore”.
Ebba (Lisa Loven Kongsli) è ben salda e con il polso della situazione nei confronti dei due bambini, mentre Tomas, il marito (Johannes Kuhnke) appare meno a suo agio all’interno della quotidianità domestica che una vacanza di famiglia impone.
L’hotel stesso è uno spazio delimitato all’interno del quale diventa più complicato trovare privacy e intimità: l’ambientazione agisce come la maschera del disagio che sta per manifestarsi, mentre il mondo dei personaggi, bambini inclusi, è sospeso in un’irreale quiete prima della tempesta.
Sembra che vada tutto bene; tutto noiosamente bene. Questa sospensione è l’agente che smuove l’unico vero evento del film: una valanga che rotola verso di loro, minacciando di travolgere la famiglia; la “forza maggiore” del titolo, quell’incidente inevitabile che mette in movimento qualcosa di completamente inaspettato.
Due cose mi hanno completamente catturato di “Force Majeure”: la sua potentissima onestà e la sua innegabile originalità. Prima di andare oltre però, è necessario fare un passo indietro. Serve ancora una volta ricordare che si sta parlando di un film d’autore svedese. Bellissimo, tutto quello che volete, ma non c’è traccia di Arnold Schwarzenegger. In nessuna scena. Bisogna rimediare.
Parlando di onestà, uno immaginerebbe dialoghi votati al realismo. Situazioni da dramma intimista; uno “studio di carattere” che usa la valanga come strumento per analizzare l’animo umano all’interno di una situazione-limite. Non è così: non c’è alcuna situazione limite. In realtà non c’è nessun dramma, almeno non in senso cinematografico.
C’è qualcosa che si è irrimediabilmente spezzato nel legame che unisce la famiglia, e il film tratta la discesa mediocre di un uomo trascurabile come se fosse una “tragica farsa”. È divertente, dannatamente divertente, però in realtà non lo è. Le risate e i sorrisi sono più che altro smorfie che tradiscono un disturbo autentico e un’irrequietezza di fondo.
Il sentimento principale che si prova guardando “Force Majeure” è quel genere di isterico, divertito disagio che avvertiamo quando ci troviamo seduti a cena con un’altra coppia, e quella coppia sta litigando davanti a noi. Vorremmo intervenire, ma non crediamo sia il caso di impicciarci. Però tornando a casa ci rideremo sopra per esorcizzare l’imbarazzo. Ringrazieremo il Cielo di non essere una di quelle coppie, quando in realtà siamo proprio come loro. Lo siamo tutti. Basta metterci davanti a uno specchio distorto e sublimare il peggio di noi stessi.
Non c’è nessuna valanga. Nessuna forza maggiore. O forse sì? Nemmeno Arnold Schwarzenegger ha la risposta.
Quello che rende “Force Majeure” molto più che una diagnosi accurata, quasi clinica, della crisi di un matrimonio medio-borghese è la feroce cattiveria con la quale smonta una tragedia, evidenziandone la banalità.
Come nelle migliori tragedie, i personaggi trascinano lungo la vicenda un peccato originale, e in questo caso il peccato è pretendere di controllare la natura. Forse possiamo apprendere come controllare una valanga, ma non potremo mai liberarci della “natura umana”. Finchè l’urto della verità non ci sbatte in faccia come una montagna di neve, non realizzeremo mai che esiste una parte irrazionale, atavica, che non possiamo gestire, un carattere che non siamo in grado di scegliere.
Come le migliori tragedie, “Force Majeure” è una commedia, e le parti divertenti arrivano nella storia con lo spirito del “fa ridere perché è vero”.
È credibile che Ebba reagisca in quel modo e che Tomas sia del tutto incapace di scendere a patti con sé stesso e la percezione che gli altri hanno di lui.
È credibile che gli ammassi di neve fresca vengano fatti crollare attraverso piccole esplosioni, e piccole valanghe controllate scendano verso valle mentre la manutenzione rimette in sesto l’impianto di sci.
È credibile che una famiglia pensi di poter “contenere” le proprie slavine interiori. Possa mettere in atto piccole, indolori detonazioni e far finta di niente di fronte al pericolo.
È credibile infine che io abbia adorato questo film, nonostante quella fastidiosa assenza di Arnold Schwarzenegger.
Paura e negazione: i sentimenti fanno parte del modo di agire di entrambi i protagonisti, e brillano nella luce che viene proiettata su di loro dal film. Il loro comportamento passa da grottesco a straziante nello spazio di una scena, e il film si crogiola nell’essere costantemente e solennemente in bilico.
Battute a parte, “Force Majeure” è un’opera sorprendente sotto tutti i punti di vista. Si avvicina pericolosamente al cliché della pellicola lenta, contemplativa e “d’autore” a cui siamo abituati ad accostare il cinema europeo. Non ci sono astronavi, futuri post-apocalittici e dinosauri. Non c’è un singolo supereroe in tutto il film, neanche a pagarlo. Non si rianimano dinosauri né si fanno volare le auto da un aereo con l’aiuto di The Rock.
Come è possibile allora che nel 2015, il tanto annunciato anno cinematografico dell’all-in hollywoodiano e dei blockbuster ultra-miliardari, “Force Majeure” sia il film che mi è piaciuto di più fino a questo momento?
Paura e negazione: due sentimenti che si fanno inevitabilmente strada nel momento in cui mi vedo costretto a tessere le lodi di un film d’autore svedese. Con un titolo in francese, per giunta. Ma cosa volete farci, questa volta devo farlo per cause di forza maggiore.
Manca meno di un mese a “I Vendicatori 2”. Coraggio Davide, non pensare al cinema svedese. Pensa ad Arnold.
Hasta la vista, baby.
Davide Mela
@twitTagli