Filottete è una tragedia meno nota, ma ugualmente importante, di Sofocle, che con quest’opera ci offre un nuovo sguardo sul mondo che cambia e originali spunti di riflessione.
Consapevole del fatto che non tutti conoscono il personaggio, benché centrale nell’Iliade, al punto che qualcuno ha supposto che a tornare ad Itaca non sia Odisseo, ma lo stesso Filottete, ingaggiato come “killer” da Telemaco per uccidere i proci (parlerò altrove di questa interessante nuova interpretazione dell’Odissea) darò alcune notizie su di lui, prima di entrare in medias res con la tragedia in oggetto.
Filottete, il più grande arciere greco, proveniente dalla Magnesia, è una figura mitologica, figlio di Peante e Demonassa. È il pedadogo di Eracle, che gli donò in punto di morte il suo arco e le frecce, a patto che tenesse segreto il luogo della sua morte. Filottete però lo rivelò e così fu morso da un serpente nel corso di un sacrificio. La ferità, infettatasi, cominciò ad essere insopportabilmente maleodorante, sicché Odisseo, l’infame astuto, convinse i compagni a lasciare l’eroe a Lemno, dove rimase per dieci anni. Dunque costui, partito con un contingente di sette navi con cinquanta arcieri, non giunse a Troia.
Se ne stette a Lemno covando dio verso i Greci traditori. Frattanto davanti a Troia i Greci catturarono l’indovino Eleno, che rivelò che Troia non sarebbe caduta se Nettolemo e Filottete non fossero andati combattere. Per inciso, Neottolemo era adirato con i Greci perché le armi di suo padre erano state consegnate al poliedrico, astuto Odisseo (ma di questo ho già trattato nella recensione dell’Aiace di Sofocle).
La tragedia di Sofocle si apre con l’arrivo a Lemno, isola deserta, di Odisseo e Neottolemo, qui giunti per recuperare, su commisione dei Greci, l’arco di Filottete. Odisseo, che qui è un eroe negativo dell’inganno infido, (nell’Aiace è invece eroe positivo) ha ideato un diabolico piano: Neottolemo deve fingere di covare odio contro i Greci, specie contro Odisseo, per via delle armi di Achille, sì da guadagnarsi la fiducia di Filottete e farsi consegnare l’arco.
L’’inganno arriva ad effetto e Neottolemo ottiene l’arco che consegna ad Odisseo. Neottolemo, eroe schietto e sincero, come il padre Achille, però, si pente amaramente e riconsegna a Filottete il conteso arco. La situazione si fa intricata, perché Filottete non vuole andare a Troia a combattere a fianco dei greci traditori, ma l’intervento di Eracle deus x machina scioglie l’intreccio: Filottete si imbarca per Troia, dove, noi sappiamo dall’Iliade, combatterà al fianco di Neottolemo, fino alla resa di Troia.
Che fine fece, vi chiederete, la puzzolenta ferita? La tradizione ilidiaca racconta che venne operata dal medico Macaone che lo fece addormentare con erbe, testimonianza della prima anestesia della letteratura.
Quante cose da imparare dai miei amici greci!
La tragedia, rappresentata nel 409 a C., si colloca in una temperie critica per Atene: da sei anni è avvenuto il disastro della flotta in Sicilia, durante la guerra del Peloponneso (Atene contro Sparta) e nell’opera si ventila il ritorno del giovinetto stratega Alcibiade (l’amante di Socrate) a risolvere la questione drammatica in cui versava Atene.
La tragedia contiene molti elementi significativi: anzitutto vi è una critica latente alla seconda democrazia di Atene (quella che condannò Socrate alla cicuta): Sofocle negativizza Odisseo, esasperandone i tratti omerici, perché lui è il simbolo del potere corrotto che manipola a suo arbitrio i deboli, per conseguire il suo scopo machiavellico. Di contro a lui si pone il giovane Neottolemo, che rappresenta l’ingenuo contadino manipolato da una mente più forte (il potere appunto)che lo induce ad azioni malvagie; tuttavia nel giovane prevale in senso del giusto e dell’onesto, oltre che quello della pietà, e si ribella al potere. Bello il messaggio che giunge dunque dalla tragedia: i giovani sono una risorsa e loro possono cambiare il destino dell’umanità, dei permettendo.
Il dibattito presente nella tragedia è ancora molto attuale, nel mondo latino è stato ripreso da Cicerone; nel ‘500, come noto, da N. Machiavelli: verte sul dissidio tra l’utile e l’onesto e sulla possibile conciliazione di queste due dimensioni. La discussione ha le sue radici nella Sofistica greca (V^ sec. a. C) e a questa attinge il tragediografo Sofocle. Odisseo incarna l’utile, anche a costo dell’inganno ed è quindi machiavellico, ma il cuore di Sofocle batte per la causa dell’onesto, incarnata dal giovane Neottolemo. Forse il culto di questo valore viene visto dal tragediografo come strumento per uscire dall’empasse che vive Atene in quegli anni.
Ecco perché è l’unica tragedia di Sofocle che ha un lieto fine: l’eroe Filottete esce dalla solitudine a lui connaturata per allearsi col giovinetto Neottolemo (identificabile in Alcidiade?)e per salvare le sorti della Grecia.
Written by Giovanna Albi