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Fin-sick

Da Miwako


Piove, là fuori.Come la notte in cui ho conosciuto Jeano. Forse un po' meno.
Fa ancora caldo.Settembre, probabilmente. Dopo il lavoro rimango fuori con alcuni amici.Sono le 3.30, mentre cammino verso casa, canticchiando come mio solito.Mi si avvicina questo signore, chitarra in spalla, basco calato di traverso e una barba bianca che sembra avere un sacco di cose da raccontare; "Mais signorina, lei lo sa che ha una vosce oltremodo piascevole?". Accento francese,  tratti somatici inindovinabili per il probabile mix biologico di cui sono testimonianza.Parliamo per quasi un'ora, camminando a casaccio.Studia medicina, 65 anni o giù di lì, un figlio di dieci anni in Finlandia, un passato errante da inguaribile girovago.Non riesco a seguire tutti i suoi discorsi. Un po' perché la mia cultura è nettamente inferiore alla sua, un po' perché a volte, secondo me, dice cose comprensibili altri che a lui.
Finiamo seduti su una scalinata, sotto una pensilina vicino all'archivio di stato.Tira fuori la chitarra. Suona e canta. Suono e canto. Suona e canto. Per quella che mi sembra una lunghissim mezzora, condensata in qualche granello di pioggia. In questi momenti mi chiedo sempre se siano le onde sonore a conferire una densità assolutamente anarchica al naturale scorrere del tempo. O, almeno, a quello che riteniamo tale.Frusta le corde in un modo indescrivibile, non ho mai visto nessuno suonare la chitarra così.Anche lui ha imparato dalle sue mani, si vede.Gli strumenti sono oggetti straordinari. Le persone, probabilmente, a conferir loro eccezionalità.
L'ho rivisto oggi, dopo qualche settimana.Studiavo, sulla terrazza vista duomo delle Oblate.Mi si avvicina, di nuovo, e mi chiede quanto manca. "Sempre troppo, Jeano. Ma ce la farò"Anche a lui manca troppo. Un esame, il 19, o perde la borsa di studio.Non gli dico niente, che a quelli come lui non servono incoraggiamenti, vanno come treni senza freni, inarrestabili, infaticabili.Non dorme Jeano, non ha tempo, mi dice.Ti capisco Jeano, e ti ammiro. A 65 anni hai la mia stessa tenacia più uno.
Girovago, di piedi, di pensieri, di parole. Mi racconta della sua Finlandia, del caffè schifoso che si beveva vicino ad Hakaniemi, in un posto di cui non colgo il nome, divorato dalla trepidazione con cui narra le cose; della madre di suo figlio,che vive a Kallio, dove vive anche uno dei miei amicanti, luogo da me prediletto in assoluto, in tutta la Finlandia esplorata. Descrive i finlandesi, e riconosco in lui il dente avvelenato di chi ci ha messo di mezzo l'amore, le mura, il mare e pure un figlio. Penso alla mia, di Finlandia, ai miei finlandesi, che ho scoperto, indagato, intervistato, passandoci sei mesi e tutta questa tesi, a cercare col lanternino ragioni per non ammirarli sinceramente. L'universomondo dietro ogni paio d'occhi è talmente grande che tutto non può che essere legittimamente soggettivo, che sorge qualche ragionevole dubbio sulla concretezza del concetto di "oggettivo".
Mi lascia un paio di indirizzi, prima di andarsene, tra cui quello di una fantomatica Casa degli Artisti finlandesi, di cui non sembra esservi notizia in internet, se non un misero indirizzo fisico.
E' a Grassina. Vedere cartina penultimo post.Probabilmente non farò in tempo; nel caso, si prospetta ennesima traversata transoceanica.
Continua a piovere, là fuori.Incessantemente.
Mi manca la Finlandia. L'ho già detto?

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