Finanza in tuta blu

Creato il 17 dicembre 2011 da Alesan
Su una cosa non ci sono dubbi: Sergio Marchionne ha avviato la rivoluzione. Che poi questa sia progressista e moderna è oggettivo e molto, troppo discutibile. Il gruppo Fiat ha il suo nuovo contratto che servirà da specchio per il prossimo dei metalmeccanici con l’ovvia conseguenza che tutto il mondo del lavoro italiano seguirà a ruota. Mario Monti sta per mettere mano alla riforma del mondo del lavoro e visto ciò che ha fatto con la finanziaria c’è di che avere paura. Chissà quanta equità. Marchionne, comunque, è la dimostrazione definitiva di come la finanza abbia preso il posto della politica. Se mai ce ne fosse stato bisogno oggi tutto questo assume una forma definitiva con la politica assente dai tavoli in cui vengono messi in discussione posti di lavoro, salute, sicurezza, sciopero, diritti vari e libertà individuali e collettive. Non c’è imprenditoria, non c’è ricerca, non c’è perdita se si vendono meno auto perché lo stipendio del manager si gonfia attraverso operazioni finanziarie. Le grida di aiuto lanciate ai tempi di Pomigliano e Mirafiori sono cadute senza suscitare troppo interesse, respinte spesso dal tipico adagio del “c’è bisogno di lavorare”. Si sfruttano la crisi e l’individualismo che in questi anni è cresciuto fino a spaccare la solidarietà tra i lavoratori che sono anzitutto dei cittadini. A loro volta divisi e convinti non si sa come e perché che la democrazia non debba entrare nei cancelli delle fabbriche, oggi luoghi vissuti come mondi paralleli e soltanto complementari a quelle che sono le ordinarie vite di consumatori.Avrebbero potuto vincere i cittadini se il più forte avesse difeso il più debole. Se allo stabilimento Ferrari di Maranello avessero scioperato in 2000 invece che in 300 un paio di settimane fa per garantirsi dei diritti che il nuovo contratto va a togliere. Invece ci sentiamo ancora raccontare di quanto siano bravi a scioperare e lottare i francesi e noi rimaniamo alla finestra a vedere che succede. E succede che le televisioni presentano l’accordo in Fiat come una manna dal cielo quando di accordo non vi è traccia (è un’imposizione aziendale, un ricatto, non un accordo) che non garantisce né investimenti né ricerca, né vendite. Lancia però la nuova Panda, un ossimoro su quattro ruote. Ci saranno 600 euro di premio. Una bellezza, ma in Ferrari prima ne avevano più di 2000. In Ferrari, poi, non capiamo di quali tempi produttivi avessero bisogno, per vendere un segmento del lusso che si manda in produzione solo quando è già stato venduto allo sceicco di turno.
Finisce un’era, è il tramonto del sindacalismo per come lo conosciamo, con pregi e difetti ma comunque autonomo e scelto dai lavoratori. Oggi solo sindacati scelti dall’azienda, rappresentanti scelti dalle sigle firmatarie, organizzazione del lavoro totalmente in mano al padrone, ossia al finanziere di turno. Più straordinari, meno malattia pagata, premi che prevedono dei malus ogni qualvolta si sia assenti dal lavoro per ferie, malattia, infortunio (avvenuto in azienda e, magari, per responsabilità dell’azienda stessa), legge 104 per l’assistenza di un parente invalido. Più ore e più turni di lavoro e le buste paga compresse dalla crisi, mentre Confindustria si finge offesa della fuoriuscita Fiat ma sostiene la sua vittoria per poter poi diffondere il sistema a macchia d’olio. I finanzieri in tuta blu cominciano a muoversi. Uno ha preparato il nuovo modello di contrattazione (io decido, tu firmi), l’altro varerà la manovra del diritto (io licenzio, tu ti precarizzi). E’ per stare nella globalizzazione. Per battere la Cina. E quando l’uomo arriverà su Marte al Lingotto presenteranno un’altra nuova Panda. Nuovissima.

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