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Finanziamento ai partiti. Il lungo filo della corruzione -2

Creato il 15 marzo 2013 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Seconda parte

270867 Senato - Esame ddl sul caso Englaro
È perfino banale diagnosticare che è tutto questo che ha alimentato l’antipolitica, che la fa crescere, che la fa divenire un elemento che struttura la società e il sistema politico, che allontana i cittadini dall’idea stessa di partecipare alle elezioni, di votare contro, di protestare nell’urna se non lo fa in piazza. La responsabilità è di quel viluppo di corruzione e privilegi, di uso privato di risorse pubbliche e di spudorata impunità, che è divenuto sempre più stringente, che soffoca una democrazia in affanno e  aggrava una crisi già drammatica.

Ed è proprio la politica, vittima di questa deriva, a farsene complice, comportandosi come se non fossimo di fronte ad una emergenza devastante, perché essa stessa ha finito con il radicarsi sul terreno concimato da un finanziamento pubblico ai partiti che ha tradito le sue ragioni ed è divenuto veicolo di nuove opportunità corruttive e di tolleranza e diffusione dell’illegalità, eludendo il nodo della responsabilità politica, che è assai diversa da quella penale, sottraendosi all’obbligo di mosse politiche impegnative, che avviino da subito la rigenerazione necessaria a restituire autorevolezza e credibilità. .

Aveva ragione Basso? Aveva ragione Rossi? una politica tutta affidata solo al contributo dei privati è fatalmente destinata alla dipendenza del potere economico, alla creazione di diseguaglianze.  Lo dimostrano i fenomeni patologici, che affliggono la democrazia Usa:  l’esasperato personalismo che nasce dallo scolorirsi del ruolo dei partiti, che anziché essere, come lo intendiamo in Europa, i luoghi dell’elaborazione di una visione del mondo e di una sintesi politica in grado di dare rappresentanza ad interessi di classe, si riducono a semplici macchine organizzative, con elementari e generiche tracce generali di impostazione politica, in modo da permettere  posizioni individuali, dei singoli membri, fra le più diverse e contrastanti. O l’individualismo leaderistico in cui l’immagine del candidato prevale sui programmi, e che in altri contesti, compreso il nostro, può dar   luogo all’emergere di leaderismi populisti e peronisti. John Rawls  ha proposto che le campagne elettorali siano finanziate solo da fondi pubblici eguali per tutti i candidati, proprio per neutralizzare il potere del denaro. Il filosofo dell’equità sapeva che quello americano è  un sistema politico in cui le probabilità di vittoria elettorale dei singoli candidati vengono correlate, nel dibattito politico e giornalistico, all’entità dei finanziamenti raccolti e del patrimonio personale, e  infatti va a votare soltanto il 48% di chi si trova al di sotto della linea ufficiale di povertà va a votare, a fronte del 77% di chi guadagna più di 50.000 dollari all’anno, cosicché gli astensionisti sono generalmente “poor, young, disable, unemployed, black and foreign-born, especially Latino and Asian”. Insomma  si vota poco e il voto è prerogativa di ceti abbienti. Ma la trasparenza è solo formale,  il sistema non è esente da finanziamenti occulti di lobby opache, dalla pressione di interessi che condizionano pesantemente i meccanismi di consenso e il processo decisionale.

È probabile che la via più ragionevole sia quella di un ragionevole compromesso, di un sistema   di  finanziamenti pubblici, con stringenti vincoli di spesa,  combinato con  forme di incentivazione fiscale di contributi  privati, peraltro accompagnate   da una totale pubblicità del nome d’ogni finanziatore.  Sarebbe raccomandabile l’istituzione di una revisione indipendente dei bilanci dei partiti, la creazione di una commissione di supervisione e controllo autonoma ed indipendente, l’inasprimento delle sanzioni in caso di utilizzo fraudolento del finanziamento pubblico, forme di riconoscimento della personalità giuridica dei partiti, il potenziamento della comunicazione ai cittadini, anche tramite l’obbligo di pubblicazione su Internet dei conti dei partiti.

Che servano una “sollevazione”, l’indignazione, il voto di protesta, l’astensionismo in crescita, per imporre ai partiti il risanamento cui si mostrano riottosi, preliminare a un processo di trasformazione, conferma la remota lontananza di elite cosmopolitiche e al tempo stesso provinciali, da “masse territorializzate”, di un potere che si è sottratto ai tradizionali meccanismi di controllo della democrazia rappresentativa, da una “base” separata. Ceti decidenti irresponsabili vivono su un pianeta differente da quello abitato dai destinatari delle loro decisioni, che dovrebbero preferire bombardare qualche paese con dei caccia inefficienti piuttosto che costruire un ospedale, il fiscal compact o il salario di cittadinanza.

La riforma dei benefici non possiamo aspettarcela da chi ne gode, la remissione dei privilegi non può essere compiuta dai privilegiati, la cancellazione delle disuguaglianze non sarà affidata a chi si sente superiore, la rappresentanza non può essere sostituita dalla rappresentazione. Alla lealtà al patto stretto con i cittadini dobbiamo costringerli noi.


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