Triumvirato d’urgenza per stabilire il rimedio più efficace contro la malattia dei partiti. Alfano, Bersani e Casini hanno concordato la terapia per giungere alla guarigione. Giusto che non si sia proceduto attraverso un decreto governativo. Non è una materia, quella della trasparenza dei partiti, che poteva essere liquidata da un decreto raffazzonato in un pomeriggio, col solo scopo di placare gli animi.
La riforma è profonda e parte certamente dall’articolo 49 della Costituzione. Tuttavia, per portarla a termine servirebbe tempo e pazienza, due risorse che spesso sono insufficienti. Così, intanto, si è dato un primo importantissimo segnale, pienamente dimostrativo della volontà dei partiti di risorgere dalle ceneri. Ecco, quindi, i punti salienti della proposta: i rendiconti dei partiti verranno certificati da società di revisione esterne, iscritte nell’albo speciale della Consob, e pubblicati sul portale web della Camera, oltre che nei siti internet dei partiti. Sanzioni molto dure per chi violi tale obbligo: fino al triplo dell’irregolarità. E verranno irrogate dal Presidente della Camera o del Senato. Poi un altro importante tassello: una «Commissione per la trasparenza e il controllo dei bilanci dei partiti politici», al cui vertice andrebbe il Presidente della Corte dei Conti, affiancato dai presidenti di Consiglio di Stato e Corte di Cassazione. Controlleranno i bilanci dei partiti fin da subito, vale a dire, dai documenti contabili del 2011. I partiti non potranno più investire i loro soldi in località esotiche stile Tanzania. Ammessi solo acquisti di Bot e Cct italiani. Bene, poi, la fissazione del limite di 5 mila euro, superato il quale le donazioni ai partiti dovranno essere rese pubbliche. Inoltre, un capitolo a parte è stato discusso anche per le fondazioni politiche, che spesso nascondono vere e proprie correnti di partito. Anche loro hanno bisogno di essere regolamentate. Per adesso ci accontentiamo dell’inserimento del tetto di 50 mila euro per far scattare il controllo dei contributi versati dai partiti a fondazioni, enti o istituzioni.
Certo, le aspettative della gente sono molto alte. Il discredito infiammato dai casi Lusi e Belsito ha, infatti, decimato gli ultimi rantoli di fiducia che gli italiani possedevano verso i partiti. Nei sondaggi, la gente non nasconde più una seria propensione a disertare le prossime urne. Perciò, a un anno dalle elezioni nazionali, tutti i movimenti politici dovranno rimboccarsi seriamente le maniche per dar prova ai cittadini di aver capito la lezione. Pensare di poter mettere d’accordo tre partiti, acerrimi nemici fino a qualche mese fa, su questioni nodali come l’entità dei finanziamenti pubblici, il livello di incisività dei controlli esterni, la trasparenza dei conti o la democrazia interna dei partiti, è assolutamente impensabile.
In molti hanno criticato l’intesa, ripetendo che la montagna ha partorito un topolino. Forse non si è ancora capita fino in fondo l’importanza di questo piccolo passo. Un passo che apre la grata di quel parco giochi nascosto in cui pochi fortunati si divertivano alle spese degli altri. E che non preclude la messa in agenda di ulteriori, e più penetranti, riforme. In ogni caso, a Lusi e Belsito tocca riconoscere un merito particolare: finalmente hanno fatto cadere il tabù sul finanziamento dei partiti. Prima di loro nessuno osava parlarne. Sembrava quasi che si fosse fatto un tacito accordo per tacere sulle esigenze di riorganizzazione interna dei partiti, di palingenesi democratica delle strutture e degli apparati, di controllo sulle entrate e sulle spese. Adesso, è stato aperto questo fantomatico vaso di Pandora. E c’è, addirittura, chi avanza proposte d’avanguardia come l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, rimasto appeso alla cruna dell’ago per più di sessant’anni. Ecco, attuiamolo questo sacrosanto articolo. Perché i partiti sono un tassello importante della democrazia e, forse, ancora oggi qualche membro di partito fatica a capirlo, pensando di trovarsi piuttosto in una cricca d’affari o, peggio ancora, in un bancomat.