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La sentenza 70/2015 sulle pensioni: un giudizio ragionevole

Creato il 16 maggio 2015 da Yleniacitino @yleniacitino

La sentenza 70/2015 sulle pensioni: un giudizio ragionevoleNOTA RIASSUNTIVA-ESPLICATIVA SU C. COST. 70/2015

IL FATTO: L'art. 24, comma 25 del d.l. 201/2001 Monti-Fornero è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 3, 35 primo comma e 38 secondo comma Cost. La disposizione censurata reca: " In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento ". In altri termini, alla luce di due note operative INPS (n. 44/2011 e n. 54/2010), per le pensioni al di sopra di 1441,58 euro per il 2012 non c'è stata nessuna rivalutazione automatica correlata all'aumento del costo della vita. Vale a dire: i pensionati che ricevevano anche solo 0.01 cent in più non avrebbero ottenuto nessun aumento, nemmeno per la quota di pensione che rientrava nel limite legislativamente stabilito.

L'ANTEFATTO: La Corte Costituzionale, già nel 2010, con sentenza n. 316, aveva lanciato al legislatore un monito volto a impedire la frequente reiterazione di misure che avessero lo scopo di paralizzare i meccanismi perequativi. In corrispondenza di una situazione economica grave, lo Stato è infatti autorizzato all'utilizzo di strumenti eccezionali ma è comunque tenuto a rispettare gli ineludibili principi costituzionali di eguaglianza, ragionevolezza e adeguatezza. Nella sua motivazione, la Corte compie una rassegna storica degli interventi legislativi sulla perequazione automatica. Un primo meccanismo fu disciplinato dalla L. 903/1965 con la ratio di adeguare il trattamento pensionistico agganciando l'importo agli aumenti del costo della vita di cui agli indici ISTAT, secondo una logica simile a quella della scala mobile per le retribuzioni dei lavoratori industriali. Nel 1992, il sistema previdenziale fu riordinato dalla legge n. 503 e si stabilì che gli aumenti a titolo di perequazione fossero calcolati non più su base semestrale ma annuale, e fossero legati al valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, in modo da abolire il parallelismo con le dinamiche salariali e sostituirlo con un aggancio al tenore di vita medio nazionale. Nel 1998 si inserì una nuova norma al fine di proteggere i trattamenti previdenziali dall'erosione del potere di acquisto della moneta, anche in assenza di inflazione.

Tuttavia, a partire dal 2000, l'aumento delle pensioni fu diminuito (perdonando il gioco di parole) in modo proporzionale all'importo del beneficiario, per tutelare le fasce più deboli, a scapito di quelle più elevate. Così l'aumento spettava per intero a chi avesse un trattamento fino a tre volte il trattamento minimo INPS (che, per farsi un'idea, nel 2015 è fissato a 502, 39 euro). Mentre per i trattamenti eccedenti il quintiplo (oggi, sarebbero i beneficiari di pensioni superiori a 2.511, 95 euro), l'aumento sarebbe stato ridotto al 75%.

Da questo quadro evolutivo della materia, si evince che la tendenza del legislatore è stata nel senso di favorire la piena ed integrale perequazione per le fasce più deboli, a fronte di un sacrificio delle fasce più elevate. Fino a qui, nulla quaestio.

Le sospensioni dei meccanismi perequativi sono state disposte dal legislatore nel corso degli anni per esigenze di contenimento della spesa pubblica. Esse sono sempre state affidate a scelte discrezionali. Per esempio, nel 1998, dopo l'entrata in vigore del sistema contributivo il legislatore aveva imposto un azzeramento della perequazione per l'anno 1998 per i trattamenti superiori al quintuplo, scelta ritenuta legittima dalla Corte.

Già la L. 247 del 2007 aveva introdotto un blocco della perequazione e la Corte aveva risposto con il sovracitato monito per cui la sospensione a tempo indeterminato dell'adeguamento perequativo ovvero la frequente reiterazione del blocco, volta a scopi non dissimili dalla misura precedente, colliderebbe con i principi di ragionevolezza e proporzionalità.

LA MOTIVAZIONE: L'art. 24 del dl. 201 del 2011, oggetto di censura di costituzionalità, non fa altro che bloccare per gli anni 2012 e 2013 l'indicizzazione delle pensioni superiori a 1217 euro netti. Rispetto alla normativa precedente, per cui l'indicizzazione operava "a scaglioni", cioè fino a concorrenza dei limiti previsti ma per tutti i trattamenti pensionistici, questa fa una differenza fra categorie di pensionati, prevedendo un aumento per le pensioni entro una certa soglia e il blocco totale per quelle che superano la predetta soglia. Qui sta il nodo principale della sentenza: la Corte non entra nel merito della scelta discrezionale del legislatore, dettata da gravi esigenze economiche, ma si esprime sul criterio utilizzato, che comporta effetti discriminatori, vanificando un principio di ragionevole progressività del sacrificio. La ragionevolezza, in questa materia, é ineludibile al fine del perseguimento dell'uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3 Cost, del criterio di proporzionalità del lavoro prestato di cui all'art. 36 Cost. (configurandosi il trattamento pensionistico quale una retribuzione differita), e del criterio di adeguatezza di cui all'art. 38 Cost. Tali parametri, dunque, non sarebbero rispettati dalla disposizione censurata. Il legislatore, nel compiere scelte discrezionali di politica economica, - dice la Corte - deve tenere conto del principio di ragionevolezza allorché si presta a modificare o ad alterare i previgenti meccanismi di adeguamento dei trattamenti pensionistici. Tali principi risultano violati dalla disposizione in questione.

Simili blocchi all'indicizzazione compiuti nel passato, infatti, erano stati ritenuti legittimi dalla Corte poiché si riteneva che la riduzione quantitativa sulle pensioni più cospicue non avesse alterato in modo significativo il loro potere di acquisto, essendo trattamenti di otto volte superiori al minimo. In tal caso le esigenze di bilancio affiancate al dovere di solidarietà offrivano un ragionevole supporto e giustificazione alla misura. Ma il monito della Corte ivi contenuto era un avvertimento contro successivi interventi del legislatore che avessero nuovamente intaccato le pensioni in modo non proporzionale.

Questa volte, dunque, la Corte non ha lasciato alcun margine di sopravvivenza alla disposizione incriminata, che è stata espunta dall'ordinamento con efficacia immediata, nonostante la stampa si sia "meravigliata" dell'operatività istantanea della sentenza, come se in altri casi si debba aspettare una qualche sorta di " vacatio". Contro le perplessità sollevate da questa stampa, evidentemente poco colta sul piano giuridico, la Corte ha dovuto persino emettere un comunicato ribadendo l'ovvia statuizione per cui " le sentenze della Corte che dichiarano la illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge producono la cessazione di efficacia della norma stessa dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Da quel momento gli interessati possono adottare le iniziative che reputano necessarie e gli organi politici, ove lo ritengano, possono adottare i provvedimenti del caso nelle forme costituzionali ".


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