Come si legge su Il Sole 24 Ore l’accordo di fatto pone le condizioni per la fine del segreto bancario fra i due paesi e consente alla Svizzera di uscire dalla black-list fiscale-finanziaria permettendo ai contribuenti italiani che intendono avvalersi della voluntary disclosure di beneficiare di condizioni migliori in termini di anni da sanare e di oneri da sostenere. Oltre al protocollo i due ministri hanno siglato una “road map” per la prosecuzione del dialogo fra i due paesi in materia fiscale e finanziaria.
L’intesa modifica il trattato bilaterale contro la doppia imposizione e consente lo scambio di informazioni finanziarie su richiesta dell’Agenzia delle Entrate, anche per un singolo contribuente. Un’arma più efficace rispetto allo scambio automatico di informazioni al quale la Svizzera si adeguerà sulla base di un negoziato in corso con la Ue. La firma dell'accordo con la Svizzera, «dopo un negoziato molto duro, ma importante perché elimina tutte le barriere all'informazione segna la fine del segreto bancario», aveva detto Padoan nei giorni scorsi. «I Paesi che aderiscono abbattono la possibilità di avere un segreto bancario, è una mutualizzazione delle informazioni». L'accordo consente “immediatamente” alle autorità italiane di individuare potenziali evasori che detengono patrimoni in territorio svizzero e, secondo il Mef, sarà quindi di stimolo al rientro con la voluntary disclosure. Di seguito, un interessante articolo pubblicato su LaVoce.info che spiega come si è arrivati all'accordo Grazie all’accordo raggiunto con le autorità elvetiche, il fisco italiano avrà libero accesso ai segreti fiscali degli italiani con tesoretto svizzero. Berna uscirà così dalla nostra black list. Ma la pessima notizia per gli evasori è che l’autoriciclaggio diventerà un reato anche in Svizzera.COME SI È ARRIVATI ALL’ACCORDO Pare proprio fatta: per rendere più appetibile la “voluntary disclosure” (lato italiano) e tenersi i clienti (lato svizzero) i rispettivi plenipotenziari hanno raggiunto un accordo (“l’Accordo”) che consentirà al fisco italiano di avere libero accesso ai segreti fiscali degli italiani con tesoretto svizzero.
L’opportunità, o forse anche la necessità, di raggiungere un accordo viene da lontano.
Sul versante italiano le nostre autorità sanno bene che la Svizzera è, da sempre, il principale beneficiario della sistematica evasione fiscale praticata da quei contribuenti un po’ più sofisticati che si fanno pagare in Svizzera – o su conti accesi presso entità off shore ma con conti gestiti da banche svizzere e con titoli e liquidità ivi fisicamente depositati – ciò che nascondono al fisco italiano. Sanno pure che la Svizzera è assai recalcitrante nel collaborare quando si tratta di inseguire un evasore fiscale italiano. E che l’Agenzia delle Entrate non ha titolo per fare domande tecniche al riguardo perché il fisco svizzero risponde solo alla procura federale; questa, a sua volta, risponde solo alle rogatorie presentate da una procura italiana. Sennonché l’evasione fiscale non è reato perseguibile in quel paese e, quindi, l’autorità giudiziaria svizzera non è tenuta a collaborare, visto che le rogatorie funzionano solo quando il medesimo comportamento è punito penalmente in entrambe le legislazioni coinvolte. Certo, può capitare che un evasore italiano usi i proventi dell’evasione per corrompere. Essendo la corruzione perseguibile in entrambi gli ordinamenti, il fisco svizzero è tenuto, in questi casi, a collaborare. Ma, come dire, sono mosche bianche. Conclusione, a bocce ferme, gli italiani con tesoretto in Svizzera hanno potuto dormire sonni mediamente tranquilli, almeno fino a ora. E questa, per converso, è anche la ragione per cui l’Italia ha inserito la Svizzera nella lista dei “cattivi” (cioè nella black list fiscale italiana) con una serie di svantaggi (tributari) per chi ha a che fare con imprese e professionisti svizzeri.
Sul versante svizzero, la storia recente dice che le banche di quel paese hanno dovuto sottostare a pesanti sanzioni inferte dagli Usa per “collaborazionismo” con i relativi evasori fiscali. E poi a un trattato (il Facta – Foreign Account Tax Compliance Act) che le obbliga a fornire all’Irs (Internal Revenue Service) americano tutte le informazioni possibili sui loro clienti americani.
Su questa strada si sono messe, ormai, anche altre autorità bancarie centrali, prime fra tutte quelle francesi e tedesche. Ne è derivata una sorta di strategia della trasparenza (“Weissgeldstrategie”) che, ancorché non obbligatoria, ha coinvolto di fatto l’intero sistema bancario svizzero con la piena sponsorizzazione della locale autorità di vigilanza (Financial Market Authority, “Finma”).
La Finma non ha emanato regole precise: ma ha invitato le banche svizzere a gestire il proprio “rischio legale” connesso con azioni risarcitorie eventualmente intentate da Stati esteri e tendenti ad attribuire loro una sorta di concorso con gli evasori fiscali dei loro paesi. E poi con i rischi reputazionali che l’eventuale condanna per questi comportamenti può far emergere sui mercati finanziari internazionali.
Al tempo stesso, la Svizzera ha fatto tesoro delle esperienze maturate attraverso gli scudi di tremontiana memoria a seguito dei quali ha imparato a partecipare a una regolarizzazione di ciò che nasceva clandestino e che, ben ripulito, poteva continuare a essere gestito in Svizzera con un po’ di sano maquillage. Perché non ritentare, allora, con la voluntary disclosure? L’AUTORICICLAGGIO DIVENTA REATO L’Accordo si materializza, dunque, in questo contesto. Prevede, innanzitutto, la modifica – entro il 2 marzo prossimo – dell’articolo 26 del vigente Trattato contro le doppie imposizioni, così da rendere effettivo e soddisfacente lo scambio di informazioni fra Svizzera e Italia, già esistente ma oggi ancora assai limitato. Dal che, peraltro, consegue, ai fini della voluntary disclosure: a) la riduzione dei periodi d’imposta su cui calcolare il costo (imposte, sanzioni e interessi) da 10 a 5 anni; b) la riduzione delle sanzioni concretamente applicabili dal 6 per cento (in alcuni casi 5 per cento) annuo al 3 per cento (cfr. articolo 5-quinqies, comma 7, del decreto legge 167/1990, come modificato dall’articolo 1 della legge 186/2014).
Prevede, poi, un accesso diretto ai dati posseduti dalle banche svizzere da parte dell’Agenzia delle Entrate italiana senza dover passare attraverso la lenta, farraginosa e spigolosa procedura rogatoriale.
Prevede, altresì, l’uscita della Svizzera dal novero della black list: il che vuol dire piena deducibilità a fini fiscali italiani dei costi sostenuti da imprese nostrane verso imprese e professionisti di quel paese.
Last but not least: il reato di autoriciclaggio, introdotto in Italia con la legge sulla voluntary disclosure ed entrato in vigore dal 1° gennaio scorso, diverrà tale anche in Svizzera a partire dal 1° luglio 2015. Notizia pessima sia per l’evasore italiano che per le banche svizzere perché questo reato ha natura permanente e, quindi, vale oggi anche per ricchezze costituite con evasioni fiscali molto antiche e magari non più perseguibili per prescrizione dei relativi reati tributari. Ma che diverrebbero ora di nuovo perseguibili sotto il diverso profilo dell’autoriciclaggio (e, per quanto attiene alle banche svizzere, per concorso nello stesso). Insomma l’abbinato “strategia della trasparenza” e autoriciclaggio spinge verso l’adozione della voluntary disclosure e l’Accordo ne rende meno oneroso l’utilizzo. Si avvicina, forse, un buon giorno per le casse dell’Erario italiano.