Fine della corsa
Creato il 08 maggio 2013 da Giuseppe Lombardo
@giuslom
C’è una vulgata d’ipocrita amoralità machiavellica attorno alla salma di Andreotti, una corrente di pensiero che pretende la riabilitazione postuma dell’ex senatore a vita, non sulla base di tracce e archivi segreti, di notizie emerse ventiquattr’ore dopo la sua dipartita, bensì in ragione degli elementi politici e giudiziari di cui ad oggi disponiamo. Elementi che, francamente, dovrebbero indurre alla prudenza i professionisti dell’agiografia, anche quelli volutamente smodati alla Ferrara. La questione principale non è se Andreotti sia stato o meno una brava persona, un quesito che lascia il tempo che trova e che si presta inevitabilmente a valutazioni soggettive, ma se il paese avrebbe vissuto meglio senza la presenza ingombrante del Divo sui più alti scranni istituzionali.Andreotti è stato un buon ministro degli Esteri e, grazie allo spiccato autonomismo di Craxi, ha conseguito, in queste vesti, importanti risultati, dando smalto al ruolo geopolitico di una media potenza. Per altri versi, la fama dell’uomo di governo supera di gran lunga la caratura del profilo politico. Occorre, forse, rammentare un dato: non una sola riforma incisiva può essere accostata al suo nome. Ha avuto qualche intuizione geniale, per carità, come l’idea di saldare il rapporto fra Italia e Cee anche sotto il profilo monetario per dare maggiore stabilità finanziaria al paese, ma erano al più delle intuizioni – per l’appunto – che s’inquadravano nell’ampio contesto della via europea alla scelta atlantica.In compenso la buon’anima si è circondata per quarant’anni di persone (s)pregiudicate che avrebbero ben figurato nella Piovra di Cattani o al posto di Barabba nel Vangelo: uomini d’affari e di partito il cui curriculum vitae è stato a lungo costellato da indagini infamanti, più o meno insabbiate. Volti magici dai sorrisi patinati, buoni – se non altro – per le foto segnaletiche. E Andreotti, imprigionato in un umorismo famelico, ha finito col rivendicare il tutto: anche Gesù, amava ripetere, aveva i suoi Giuda; e poi un albero per crescere ha bisogno di concime. Queste frasi, come il proverbiale “meglio tirare a campare che tirare le cuoia”, rappresentano forse compiutamente lo spirito dell’andreottismo.
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L’uomo che ha incarnato il centro del centro non si è mai invischiato in riflessioni culturali di rilievo e ha racchiuso in sé, nella sua lunga vita, i riflessi pavloviani di un’Italia disposta a tutto pur di conseguire i propri fini, pur di non vedere perire le proprie ambizioni. In questo Berlusconi, così spasmodicamente intento a confondere interessi privati e cosa pubblica, può legittimamente paragonarsi a Belzebù, quale evoluzione negativa. E tuttavia il Cavaliere di Andreotti non ha né lo stile sobrio, né il decoro istituzionale.Un’ultima nota: Andreotti se ne va senza funerali di Stato e nel prudente silenzio delle figure di garanzia della Repubblica. Napolitano, Boldrini e Grasso hanno rimandato alla storia il giudizio sull’uomo. E’ giusto così. Trovo tuttavia a dir poco ripugnante che, anche in questa mesta occasione, la polemica politica abbia trasceso i limiti del buongusto. Lara Comi ha criticato apertamente la scelta di Ambrosoli di non partecipare al minuto di silenzio in memoria del Divo. Non inviteremo, come ha fatto Cacciari, l’eurodeputata del PdL a ripassare la recente storia d’Italia: sapere che una giovane donna uscita dalla Bocconi può essere, ciononostante, una piccola ignorante, rincuora e rafforza la fede nella meritocrazia a dispetto dei titoli. Quanto ai commenti critici sull’uomo, stigmatizzati dall’intero arco costituzionale, che dire? Parafrasando una celebre infamia del nostro eroe – uomo di governo, non certo statista – su Ambrosoli padre: “beh credo che in fondo se la sia andata a cercare”.
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