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Fine della Storia

Creato il 02 agosto 2014 da Idispacci @IDispacci

Fine della Storia

Terminai la telefonata e mi fermai al semaforo. Svoltai in direzione nord, imboccando il viale alberato che attraversava la pineta.
Avevo ancora in testa la voce di Divier, l'avevo chiamato per sapere come stava, dato che non l'avevo più sentito.
"E' morta stamattina alle undici."
Aveva pronunciato quelle frase senza cerimonie, e anche se nella sua voce si leggeva la gravità del momento, il tono era sincero ma fermo. Quello era uno dei motivi per i quali andavamo d'accordo: i fronzoli li lasciavamo da parte.
"Non sapevo" avevo risposto "io... se posso aiutarti in qualche modo, lo sai, puoi contare su di me."
Mi aveva ringraziato, dicendomi che telefonargli era già un aiuto. Non avevo insistito, evitando di trascinare la chiamata più del dovuto.
Ripensavo alla telefonata mentre pedalavo. Pochi giorni prima, era stata uccisa la figlia sedicenne di un conoscente: un vecchio alla guida di un'auto l'aveva travolta, nella confusione seguita all'accaduto, quello era addirittura sparito facendo perdere le sue tracce. Anche in quel caso avevo fatto una telefonata, non direttamente a lui, ma ad un mio caro amico che era in stretti rapporti con la famiglia colpita dal lutto. Tra una cosa e l'altra, ero riuscito a strapparli una risata, tanto mi era bastato.
Sulla morte, ci si poteva far poco.
Guardai il cielo, erano circa le tre del pomeriggio, non si vedevano nuvole e l'azzurro era intenso. La madre di Divier era morta poche ore prima, un male incurabile se l'era presa. Mi domandai se avesse avuto modo di ammirare il sole, divenuto una rarità in quell'estate piovosa e fresca. Sperai di sì, sperai che tra gli ultimi ricordi ci fosse stata la volta celeste. Ma non era detto, anzi.
Mi vennero in mente i tanti pseudo-santoni in stile new-age che predicavano quanto fosse da stupidi non saper cogliere la bellezza che ci circonda. Tutto bello, tutto giusto. Ma c'erano vita e morte a contendersi le nostre sorti, e se ne sbattevano di cosa è bello e di cosa è giusto. Mi convinsi che alle volte, quando non si riesce a percepire quella bellezza, non si tratta di colpa o di stupidità, semmai di possibilità, o meglio, di mancanza di possibilità.
Ad ogni pedalata, la borsa di tela nella quale mia madre aveva infilato i panni puliti, una busta d'insalata e del tonno in scatola, sbatteva nella ruota anteriore della bici. Già, la mia vecchia, rapporto difficile. Anche lei era sotto esame, si doveva sottoporre ad una colonscopia, i dottori volevano vederci chiaro. Lei era nervosa, impaurita, lo ero anch'io.
Andavo lento, mentre qualche macchina transitava in direzione opposta, volevo arrivare a casa e buttarmi sul divano, ma ero a circa metà strada. Vidi un bel culo che passeggiava sul lato ovest, oltre lo steccato, dove un piccolo sterrato costeggiava la strada asfaltata. Le gambe sode e le braccia affusolate avevano il colore che preferivo, si trattava di pelle mulatta. Camminava nel mia stesso senso di marcia, dandomi le spalle; quando la raggiunsi mi girai per guardare se il viso fosse al livello del corpo. Mi sorrise, ma il pomo d'adamo e i tratti somatici lasciavano più di un dubbio. Anzi, davano certezze: qualora mi fossi arrischiato a fare conoscenza, avrei trovato un buco in meno e un paletto di troppo.
Il traffico si era intensificato, le auto sfrecciavano in entrambi i sensi, bicicletta e andatura mi rendevano vulnerabile: ero ancora lontano da casa, sarebbe bastata la distrazione di un guidatore e via, saluti a tutti.
Funzionava così, la vita.


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