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Firebirds - Light My Fire (US Hard Rock)

Creato il 17 settembre 2013 da 79deadman @79deadman
Firebirds - Light My Fire (US Hard Rock)
Artista: Firebirds Album: Light My Fire Label: Crown (CST 589) Anno: 1969
A1 Light My Fire   A2 Delusions   A3 Reflections   A4 Bye Baby   B1 Gypsy Fire   B2 Free Bass   B3 No Tomorrows   B4 Warm Up
Psichedelia in clamoroso ritardo o un precocissimo sintomo di stoner grave, e greve? Nessuna delle due, perché - è vero -  una copertina retrò in maniera imbarazzante ed uno strumentale schitarrante di Light My Fire vi indirizzeranno verso l’ultimo vagito di un surf di cui nel ‘69 si era già perso il ricordo. Ma dimenticate Dick Dale, perché dopo un paio di obbrobriose ballatine cantate da un Dino Valente stonato, si vira verso un ibrido bastardo di Blue Cheer, Black Sabbath e Ventures che non avreste mai pronosticato.  Un album talmente misterioso che ancora tiene celati i nomi dei musicisti e la tracklist più corretta (visto che in giro se ne trovano ordinate in ogni modo). Reflections, evidentemente un outtake di qualche impossibile “Vincebus of Reality”. Poi il bluesaccio insostenibile di Bye Baby con basso saturo e vocalità indisponente. Trito e ritrito, sentito già in 1000 pub al venerdì sera, alla fine di ogni scaletta. Però mica male… Ma le meraviglie stoner non sono affatto finite: Free Drum, Free Fuzz, Free Bass  deliranti, cacofonici, mal suonati ed apparentemente estemporanei, distortissimi e folli, con tanto di assolo di basso alla Cisneros stile Om e tanti saluti! Gypsy Fire ha tutta l’eleganza di una sega elettrica manovrata da un inetto taglialegna spastico dell’Oklaoma in crisi da THC con Out of Focus sparata direttamente nel lobo frontale. Una valanga disordinatissima e bambinesca di rumori rockettari ed umori mascolini sputati qua e là come se fossero incisi da quattro derelitti in ritardo per la prossima Apocalisse. Manca un cantante, non si dica bravo, ma appena decoroso; mancano anche tante altre cose, ma sono i vuoti, gli spazi bianchi e la più totale inetta casualità il bello di quest’album. Estemporaneo, rugginoso, senza ispirazione, metodo né cognizione.
Stoner casuale ma rombante, per un album che sebbene considerato (non del tutto a torto) una preziosa reliquia del suo tempo e del suo genere, non ha poi valutazioni clamorose. Attorno ai 100 $, ma mai oltre i 200 per la stampa originale Crown su label bianca e nera. Abbastanza numerosi gli scambi. Nel 2012 la stessa Crown ha ristampato il disco in vinile con l’aggiunta di due bonus, presenti anche nella versione CD della Radioactive (legale o meno che sia…). Presenti anche su i-Tunes, Google Play e perfino Spotify, ma in questo caso dovrete cercare bene tra gli omonimi, senza contare che la tracklist pare un po’ disordinata.
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