Tra le varie bizzarrie che si erano diffuse nella società culturalmente bene della Francia all’inizio dell’Ottocento, ce n’erano due particolarmente interessanti: la prima era la diffusione delle physiologies, le fisiologie, testi brevi pseudoscientifici in cui si esaminava una qualche moda, una neonata abitudine sociale, o una particolare questione; la seconda era quella del fumare in società, una pratica che richiedeva un certo savoir faire, nonostante la grande democratizzazione di cui era portatrice.
La satira delle fisiologie è innocua e bonaria, priva di una reale penetrazione sociale, nulla a che vedere con il potere disorientante del grottesco o del comico assoluto di cui parla Baudelaire. Anzi, le fisiologie vanno proprio rinforzare le convenzioni sociali, funzionando come speculum consuetudinis (dalla prefazione)
Théodose Burette, storico e traduttore dal latino, è il cicerone di questo libello sul fumo, che uscì tra il 1840 e il 1847. I dubbi sul se sia mai pervenuto in Italia prima di questa recente riedizione a cura di Armillaria edizioni, ci sono: probabilmente arrivò da noi con altro titolo e altro nome.
Questa nuova edizione è arricchita dalla postfazione ironica di Massimo Roscia, il dispetto contemporaneo, che ha il compito di riportare all’oggi questi pamphlet che Armillaria riproduce; Mara Bevilacqua invece, ne è la nuova traduttrice.
Quando si sceglie un libro da leggere lo si fa per diverse motivazioni: il desiderio di svagarsi, la voglia di apprendere qualcosa di nuovo, il consiglio di un amico o una recensione particolarmente accattivante, oppure una copertina seducente.
Quando ho guardato i libri che Armillaria ha prodotto finora, è stata una spinta contraddittoria alla mia natura a farmi propendere per la Fisiologia del fumatore: perché io, contrariamente a ciò che si poteva dedurre finora, sono una antitabagista convinta. Perché allora leggere questo libro?
Beh, potrei rispondere con un vecchio adagio che dice: “Conosci il tuo nemico”; ma la questione sul conoscere il nemico fumo è ormai abbastanza ovvia e scontata per tutti; il mio pensiero è stato piuttosto un “Uhm, forse adesso ne capirò di più su come si diffuse ai tempi questa modaccia”, e in effetti la mia intuizione è stata premiata.
Il corpo soffre, è vero, soffrirà a lungo, soffrirà sempre; ma l’immaginazione segue la sua strada e per sognare, o per non pensare a niente, non c’è più bisogno di dormire. Hanno detto: Quando non si è felici, bisogna essere filosofi:[10] stupido assioma! Quando non si è felici, bisogna fumare, e io lo dimostro.
Théodose Burette passa in rassegna i vari tipi di fumo, decretando quale per lui sia il migliore in assoluto e perché; esamina con dovizia di particolari sulla fattura e le origini geografiche, le vie che hanno raggiunto le foglie per arrivare a noi, gli strumenti per poter fumare, pipe o sigarette che siano; analizza i comportamenti di uomini e donne che hanno a che fare con il fumo, come fumano i ricchi, i poveri, le donne e gli intellettuali; e nonostante questa disamina del fumo e dei fumatori possa sembrare dall’esterno noiosa o stancante, il sottile humour del francese rende la lettura agevole e simpatica. Persino per una non fumatrice incallito come me!
Certo, non mi convincerà mai a fumare, nonostante Burrette decanti la grazia del gesto, l’eleganza di alcune pipe e il benessere (?) che ne provoca; e non mi stupisce che il tabacco, come tutte le cose nuove che fanno molto molto male, (vedi la storia della Coca Cola) venisse inizialmente venduto come medicina e utilizzato in modi alquanto disgustosi persino per lui; ma farsi un giro letterario con lui che sfumazza, prepara la sua pipa elogiandone le curve, sceglie il tabacco e descrive le differenze tra il fumatore tedesco e il fumatore francese, devo dire che non è affatto male. Soprattutto perché non devo aspirarne l’odore.