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Fitzcarraldo

Creato il 14 dicembre 2012 da Ilcasos @ilcasos

Fitzcarraldo, di Werner Herzog, Germania Ovest, 1982, 158 minuti (colore)

«Chi sogna può muovere le montagne» (B. S. Fitzgerald)
«Nessuno riuscirà a convincermi ad essere felice di tutto questo» (W. Herzog)

Fitzcarraldo e il suo grammofono

Ogni tanto nella Storia, l’uomo ha prodotto opere dotate di un respiro universale. Opere che, a chiedere “Di cosa parla, qual è il messaggio?” verrebbe da rispondere pirandellianamente “Uno, nessuno e centomila”, con un forte accento su centomila.
Fitzcarraldo è Brian Sweeny Fitzgerald, un avventuriero irlandese con lo sguardo da incubo di Klaus Kinski. Perché Fitzcarraldo? Provate voi a far pronunciare “Fitzgerald” ad un peruviano di fine ‘800. Fitz è, oltre che un visionario, un fallito. Ha speso praticamente tutti i suoi averi nel finanziamento di una ferrovia transandina, progetto ingoiato dalle profondità della foresta amazzonica e dai dirupi della Cordigliera, nonché in una fabbrica di ghiaccio dalla dubbia efficienza produttiva. Fitz vive in una casa di legno su palafitte, immersa nella favela ante-litteram che galleggia sul Rio delle Amazzoni ai margini di Iquitos, e ogni tanto passa la notte nel letto della tenutaria di un bordello (Claudia Cardinale). Fitz ha un sogno: costruire un teatro dell’opera proprio a Iquitos, dove far esibire nientemeno che Renato Caruso, la popstar della lirica italiana. Lirica che lo ossessiona, e lo accompagna ovunque. Come raccogliere i soldi (tanti) necessari a realizzare il suo sogno? Don Aquilino, un ricchissimo latifondista che lo ritiene schiettamente pazzo ma un po’ lo ammira, gli mostra la via: coltivazione e commercio del caucciù, padre della gomma che sta invadendo il mondo coloniale. E come trovare una via commerciale vergine, tale da fruttare immediatamente senza entrare in conflitto col cartello dei proprietari terrieri del quale lo stesso don Aquilino fa parte? Semplice, pensa Fitz. Basta far attraversare alla sua scassatissima nave a vapore (Molly Aida, in simultaneo onore della sua amante e della sua ossessione) una montagna che divide due fiumi, arterie sulle quali circola il prezioso caucciù. Letteralmente: attraversare una montagna.
Fitzcarraldo è un film sul sogno, e sulla volontà. Anzi, è un film del sogno e della volontà. Herzog, Kinski e tutto il personale coinvolto nelle riprese (interpreti e tecnici) hanno fatto veramente quel che ci mostrano nella pellicola. Hanno vissuto per oltre due anni nella foresta, hanno trattato con le tribù indios, hanno affrontato uragani, frecce, proiettili (quelli dei militari delle guarnigioni di frontiera). Soprattutto, hanno veramente issato una nave a vapore su una montagna con argani di legno e funi, a forza di braccia. Sono quasi impazziti davvero, come Fitz che si tiene la fronte, i piedi immersi nel fango amazzonico e la sua nave rovesciata su un fianco dopo la rottura di una fune.

Fitzcarraldo e la
Fitzcarraldo, è un’opera universale. Ogni volta che lo rivedo, o che ci ripenso, al film in sé e alla storia della sua realizzazione, ci vedo sempre qualcosa di diverso, e più sotterraneamente grande. Al di là dell’interesse archivistico (Herzog è un grande documentarista, oltre che regista: basti vedere la sequenza nella quale don Aquilino mostra a Fitz l’estrazione del caucciù, o quelle girate nei villaggi indios), la pellicola tocca la penetrazione europea e capitalistica nella selva (africana, asiatica o americana, poco importa), la voglia di legittimarsi di una nazione giovane, e degli uomini che se ne pongono a capo, e molto altro. Ieri sera, scrivendone ad un’amica che mi faceva notare la crudeltà intrinseca al film, ho realizzato: non è solo un film sul sogno e del sogno, è la storia dell’intera civiltà occidentale condensata a mo’ di parabola nei capelli impazziti di Fitz. Quando la fune di cui sopra si spezza, la Molly Aida ripiomba nel fiume arando il fianco della montagna, sbriciola gli argani, le pulegge, e soprattutto gli indios che la stavano issando. Fitz si tiene la fronte, ma non perché si renda conto delle conseguenze del suo sogno (le conseguenze, semplicemente, non contano). Fitz si artiglia la fronte perché teme che il sogno svanisca. Il romanticismo, la fede, l’idea, l’individuo, la noncuranza (l’odio, il terrore) per chi non ci sta (dentro) e per la natura-oggetto. Fitzcarraldo è (anche) una immane parabola della nostra Storia: illuminista, positivista, giacobina, comunista; tirando al massimo gli elastici del trip: nazista.
Chi sogna può muovere le montagne, è vero.
Ma chi sogna è inevitabilmente l’essere più spietato sulla faccia della terra.

La storia di Fitzcarraldo, intesa come effettiva realizzazione del film ma anche come riflessione sui temi che il film stesso smuove, è raccontata dallo stesso Werner Herzog in Eroberung des Nutzlosen (La conquista dell’inutile nell’edizione italiana della Mondadori, 2007).

Trailer:

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