Flotta sarda, la rivolta degli schiavi
Creato il 26 maggio 2011 da Zfrantziscu
Questa volta è possibile che vada meglio che nel 1944 e 1945, quando la Sardegna, non ancora regione a statuto speciale, tentò di darsi un embrione di flotta navale ed aerea. La Sardamare e Airone furono rase al suolo rispettivamente dalla Tirrenia e dalla nascente Lai (Linee aeree italiane) e, naturalmente, dal Governo provvisorio, quello di Ivanoe Bonomi, se non sbaglio. Ruoli diversi, oggi, naturalmente. Al posto della Camera di commercio di Cagliari (che deliberò la costituzione della società di trasporti) c'è la Regione sarda, nel ruolo della Tirrenia (in via di privatizzazione) ci sono la Moby di Onorato e altri due grandi armatori, al posto di Bonomi c'è Berlusconi.Quel che sembra cambiato è il clima politico e culturale e, insieme ad esso, la consapevolezza che l'autonomia non va gridata e rivendicata ma esercitata. C'è in giro, è vero, la tentazione di dar ragione agli armatori pur di dar torto al governo sardo e alla sua decisione di metter su la “flotta sarda”, ma si tratta di piccoli riflessi pavloviani che non avranno molta storia. Anche l'unica critica un po' più seria (“Saranno i sardi a pagare di tasca loro questa avventura”) cozza contro l'assicurazione che costi e ricavi saranno pari. La diffidenza è naturalmente giustificata, ma perché non sia un semplice pregiudizio bisogna contrapporre conti a conti.È da manuale del buon colonizzatore la reazione esagitata del cagnolino a cui si tenta di togliere l'osso. Variano, con lo scorrere dei giorni, il tono e la virulenza. Si passa dal contentino dato alla rivolta degli schiavi attraverso l'abbassamento di una tariffa definita fino ad allora intoccabile alla minaccia: “Voglio vedervi questo inverno quando ritirerò le mie navi dalla rotta”. C'è il ricatto: “Se non abolite questa flotta sarda, io e i miei amici ritireremo l'offerta di acquisto della Tirrenia” e c'è l'invettiva da padrone della Compagnia delle Indie: “Non si può più restare in silenzio; con rabbia e amarezza ripeto che questa politica demenziale, demagogica e qualunquista, condotta dalla Regione sta affondando il turismo in Sardegna. La propaganda di queste settimane equivale a scoraggiare i turisti che vogliono venire nell’isola”. Il tutto condito con avvertimenti dal significato oscuro: “Eppure in questi anni abbiamo sempre offerto collaborazione e sostegno al presidente [dell'autorità portuale di Olbia, NdR] tutte le volte che ha avuto bisogno. Ora questo attacco nei nostri confronti cambia tutto e noi non siamo più disponibili a lasciar passare in silenzio qualunque cosa accada nei porti del nord Sardegna”.Onorato cerca anche di giocare la carta della solidarietà che i sardi dovrebbero provare: la flotta sarda mette a rischio 1.500 dipendenti della Moby; “dati alla mano, in questi giorni di gran parlare della flotta sarda Moby ha registrato una perdita consistente di prenotazioni, tra 7.000 e 8.000 al giorno, in genere sono il doppio”. Quasi che ai trentamila operatori turistici in Sardegna faccia ribrezzo accudire a chi viene in vacanza snobbando le navi di Onorato. Da vicerè delle Indie qual si pensa, egli minaccia il commissariamento dell'autorità portuale di Olbia, rea di aver salutato con favore la creazione della flotta sarda. Insomma, come si sarà capito, intorno alla questione della flotta sarda si gioca una partita che è sì economica (ma c'è anche chi giudica un gran regalo quello che Onorato e i suoi farebbero alla Sardegna andandosene), ma soprattutto di dignità. Se gli imprenditori sardi di oggi mostrassero di avere il coraggio che ebbero i loro colleghi di 67 anni orsono saremmo tutti più tranquilli, ben oltre l'esperimento temporaneo della flotta sarda. Ma l'importante è che la Regione abbia preso gusto nella riconquistata dignità nazionale: di navi, belle, capienti, veloci sono pieni i mari e ce ne faremo una ragione se i loro armatori non sono napoletani o italiani in genere.
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