«L'Usigrai non si oppone alla riforma della Rai. Anzi, siamo convinti si possa fare in 60 giorni a partire da domani mattina. Ma il decreto presentato dal governo non e' la strada giusta ed e' anche incostituzionale». A lanciare l'appello, il segretario del sindacato dei giornalisti Rai, Vittorio Di Trapani, 'confortato' dal parere pro veritate chiesto ad Alessandro Pace, già presidente dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti, sul dl Irpef. Una questione che torna domani sul tavolo del cda della tv pubblica, anche con un ordine del giorno presentato da Antonio Verro che punta ad accelerare sul ricorso chiedendo al consiglio di esprimesi.
«Con questo decreto - commenta Di Trapani - nei fatti il governo torna pienamente nella gestione aziendale della Rai. Come sindacato agiremo laddove e' in nostro potere, ma invitiamo a muoversi anche le associazioni dei consumatori. Non e' questa la strada per riformare la Rai. Piuttosto, accantoniamo il decreto, sediamoci a un tavolo domani mattina con Parlamento, Governo e azienda e la riforma in 60 giorni si puo' fare'».
Una riforma che pero', aggiunge, «preveda nuove fonti di nomina per rottamare il controllo dei partiti, lotta all'evasione, un nuovo canone sociale e il rinnovo del contratto di servizio, oggi, non nel 2016, anche per superare la tripartizione ormai obsoleta dell'azienda». «Per un costituzionalista, qui c'e' da inzuppare le mani», esordisce Pace illustrando il suo parere alla stampa. Sotto accusa innanzitutto la riduzione di 150 milioni di euro prevista per il 2014, della quale i consiglieri di amministrazione potrebbero essere chiamati a rispondere personalmente. «Non vi sono dubbi sulla manifesta illegittimità costituzionale del quarto comma del decreto», scrive Pace. e' «appropriazione indebita», spiega, in quanto «il canone di abbonamento e' un'imposta di scopo e quelle entrate non vanno nel bilancio generale».
Oltre all'inopportunità di tale taglio alla vigilia di un evento come i Mondiali di calcio, secondo la sua relazione «la Rai, lesa da tale decreto legge» avrebbe «un vero e proprio diritto di credito nei confronti dello Stato: un diritto di credito preciso nel suo ammontare - pari a 150 milioni di euro - di cui la concessionaria pubblica ben potrebbe chiedere l'accertamento e la conseguente condanna dello Stato dinanzi al giudice civile non appena il decreto fosse convertito in legge». Di conseguenza, aggiunge Pace, «penso che gli amministratori in buona fede non abbiano difficoltà perche' la Rai si costituisca in giudizio, rivolgendosi al Tribunale Civile di Roma».
Una volta accertata «l'incostituzionalità della 'riduzione' del credito - prosegue - questo si riespanderà automaticamente. Per cui la condanna dello Stato sarà sostanzialmente un tutt'uno con l'accertamento». Se invece non vi fosse opposizione e il decreto venisse tramutato in legge, «immagino ci sarà un esposto alla Procura regionale della Corte dei Conti per far valere la responsabilità amministrativa contabile». E, attenzione, conclude Pace, perche' «i consiglieri che si opponessero con successo a procedere con il ricorso», in quanto amministratori pubblici chiamati a «tutelare» l'azienda «sarebbero considerati patrimonialmente responsabili per il danno creato e ne risponderebbero personalmente». Non meglio va anche alle disposizioni del decreto sulle sedi regionali e sulla possibilità concessa all'azienda di «cedere sul mercato quote di società partecipate» con Raiway.
Del parere di Pace, «prima ancora che la stampa - spiega Di Trapani - abbiamo informato il vertice dell'azienda. La presidente Tarantola ha annunciato che domani porterà la relazione in consiglio». Intanto «già stamattina» Verro ha presentato il suo ordine del giorno: «La funzione di tutela del pluralismo - spiega il consigliere - sottrae la Rai dalla sfera di azione diretta del governo sia sulla gestione della Rai stessa che sulle relative modalità di finanziamento. L'indipendenza economica ed organizzativa e' uno dei pilastri che delinea la natura stessa del servizio pubblico».