Costanza Bondi
di Costanza Bondi
La guerra era finita, dopo cinque lunghi anni di feroci combattimenti. Eppure, invece che deporre le armi, iniziò una vera e propria guerra civile che in Italia perdurò esattamente dal maggio 1945 alla fine del 1947. Esecuzioni sommarie, rappresaglie, omicidi indiscriminati, vendette, sparizioni, fucilazioni a sfondo di faida e condanne a morte sommariamente emesse da Tribunali cosiddetti speciali che continuarono la loro immorale opera anche a guerra finita. Questo lo scenario in cui le stragi avvenute al confine orientale d’Italia e perpetrate sin dal ’43 si dipanarono, rimanendo però tabù e disegnando una delle vicende più scabrose della nostra storiografia: le foibe. Da considerarsi ancora più tabù alla luce della “sentenza Piskuliç” e di molti altri esempi che potremmo annoverare. Oscar Piskuliç, croato ottantaduenne, nell’inchiesta-farsa sulle foibe era stato accusato di aver ucciso nel’44 l’attivista italiano Giuseppe Sinchic. La Cassazione, per difetto di giurisdizione, rigettò il ricorso della parte civile contro la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma che l’anno precedente ne aveva formalizzato l’autorizzazione. Sentenza questa appunto presa ad esempio, dicevamo, che non fa che riconfermare come la questione delle foibe, nonché la violenza di regime che ne conseguì, fosse motivata da ragioni di politica interna (insediamento del nuovo potere socialista nel territorio occupato) e internazionali (rivendicazioni territoriali sulla regione in questione). Ecco quindi che la questione delle foibe prese la sua natura intransigente su un doppio binario: da una parte per colpire il fascismo e i triestini legati alla precedente amministrazione fascista, dall’altra per colpire coloro che si opponevano all’annessione di Trieste e del resto della Venezia Giulia alla Jugoslavia. I