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FOLKSTONE – Oltre… l’abisso (FolkStone prod.)

Creato il 02 dicembre 2014 da Cicciorusso

FOLKSTONE – Oltre… l’abisso (FolkStone prod.)Questo è il quarto album dei Folkstone, se escludiamo quello acustico, e perlomeno da queste parti era aspettato con un’ansia spasmodica che ormai riserviamo quasi solo agli Alestorm o giù di lì (per altri gruppi il sentimento prevalente è la paura, con conseguenze tipo la notte insonne prima dell’uscita del penultimo Agalloch); un’ansia che in questo caso era dovuta a molteplici fattori, tipo il fatto che il precedente Il Confine fosse un capolavoro maturo e compiuto che si beveva tranquillamente la stragrande maggioranza della scena più in voga in quel momento, quella folk. Per arrivare a parlare di Oltre… l’abisso, bisogna considerare che i Folkstone arrivano da un percorso piuttosto lineare e, nel bene e nel male, l’ultimo album ne è la logica prosecuzione. L’omonimo, nel 2008, era solo un disco folk metal nettamente superiore alla media, con due-tre pezzi entrati di diritto nelle colonne sonore delle scampagnate domenicali in montagna con barbecue e cannoni nello zainetto; per inciso, la sola Alza Il Corno vale parecchie discografie di gruppi più blasonati di loro. Il secondo, Damnati ad Metalla, era una dimostrazione di sensibilità musicale rarissima ed elevava quanto c’era di buono nel precedente a vette di lirismo che, in una scena sempre più arida i cui nuovi portabandiera paiono essere niente meno che gli Eluveitie, sembrava riportare alla magia pastorale dei primi In Extremo. Quelle atmosfere rarefatte sono poi state sublimate nell’acustico Sgangogatt e poi in pratica eliminate nel successivo Il Confine, probabilmente il loro migliore, che però vedeva una composizione più quadrata, classica e, in generale, metallara. Il Confine è un capolavoro, come detto sopra, ma l’aver iniziato a perdere per strada quella vecchia magia era insieme un gran peccato e un rischio. Il rischio era appunto quello di trovarsi Oltre… l’abisso come quarto disco dei Folkstone; che non è un brutto album, e magari finisce anche in playlist a fine anno, ma è come se fosse il frutto di un altro gruppo rispetto a quello che sapeva comporre delle atmosfere così vere, così vive, che ti faceva sentire davvero orgoglioso che in Italia ci fosse un gruppo così. Ora c’è un gruppo più rodato, con maggiore aderenza alla forma-canzone, di sicuro meno personale e indispensabile; sempre meglio degli Eluveitie, per carità, ma niente che possa riuscire a commuovermi come prima. Prima i Folkstone suonavano come nessuno; adesso in certi momenti sembrano i Modena City Ramblers, in altri i Nomadi, in altri ancora, per fortuna, i Folkstone de Il Confine. Ad esempio: Mercanti Anonimi ha una melodia molto bella, e anche la voce di Roberta è molto bella, però l’arrangiamento mi sembra dozzinale, fatto in due minuti con la mano destra legata dietro la schiena, e davvero pare una cosa uscita fuori dal concertone del primo maggio. Nella mia fossa, per fare un altro esempio, non è frutto di un’evoluzione, ma di una involuzione; persino le canzoni più dirette e semplici del disco precedente, come Non Sarò Mai, erano molto più curate negli arrangiamenti e nella struttura; qui invece spesso sembra che, una volta trovata la melodia giusta, tutto il resto vada in secondo piano, e in qualche modo le cornamuse ce le infiliamo comunque. Ovviamente il disco non è tutto così: confermo tutte le belle parole spese per il singolo In Caduta Libera, che però rimane il picco dell’album. In generale i pezzi migliori sono quelli iniziali, soprattutto Prua Contro Il Nulla, Le Voci Della Sera e Respiro Avido. Non mi è piaciuta neanche la cover di Tex, e d’accordo che il giudizio è parziale perché Tex è la mia canzone preferita dei Litfiba, però anche qui mi sembra che sia stata arrangiata in cinque minuti, esattamente come la arrangerebbe un qualsiasi gruppo svogliato e alle prime armi. Mi dispiace enormemente dovermi esprimere così perché penso che i Folkstone siano la cosa migliore uscita da tutta l’Italia da non so quanto tempo a questa parte, e perché io davvero dopo aver consumato Il Confine avrei voluto non dico qualcosa a quel livello, ma quantomeno un disco in cui riconoscere quello stesso gruppo. (Roberto ‘Trainspotting’ Bargone)



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