Anna Lombroso per il Simplicissimus
Pare che per arrivare all’altra-politica si debba necessariamente passare per l’anti-politica. Ma se non esiste più o non è mai esistita una strada virtuosa per il potere, è altrettanto vero che anche l’esercizio della cittadinanza richiede responsabilità, rispetto del bene generale, consapevolezza e “interesse disinteressato” per il bene comune. Come fa dire Platone al giovane che si affaccia alla vita e che viene da quel popolo che può facilmente essere “persuaso dalla retorica, dalla mozione degli effetti, dai falsi sillogismi”, “salirò la torre più elevata per il sentiero della giustizia o della seduzione ingannevole, perché li mi perda?”
Va riconosciuto che la seduzione ingannevole ha vissuto un’età aurea e un grande successo di critica e di pubblico: se è urgente e vitale fare quelle necessarie riforme tecniche occorre cambiare la cultura di un Paese che diffida dello stato, che non rispetta le regole e che non rispettandole non crea le condizioni perché i cittadini si rispettino l’un l’altro, irrompe nella coesione sociale spezzando vincoli di collaborazione e solidarietà. Sempre più labili nel susseguirsi di governi che hanno demoralizzato lo stato, annientando la sua sovranità e i suoi poteri, svuotato la democrazia e accanendosi contro i legami delle generazioni, delle famiglie, delle rappresentanze, dei legittimi interessi, annichilendo i diritti ridotti a privilegi per pochi.
Però c’è anche da dire che se il popolo illuso e contagiato ha abbassato la guardia, i partiti e la cosiddetta classe dirigente ha decisamente elevato il livello di sfrontatezza irriguardosa delle regole, irriverente della morale comune e irridente delle leggi, che ha aggirato e avvilito grazie a una produzione di norme e giurisprudenze su misura a difesa di comportamenti miserabili e infami.
Anche senza andare a frugare nelle pratiche generalizzate, tollerate, desiderate e alimentate della corruzione, della collusione e della concussione presto legalizzata, a oltraggiarci basterebbe la valanga di quattrini pubblici, nostri, estorti e truffati ai danni della collettività, che hanno alimentato voragini mai colmate, contribuendo all’impoverimento del paese, all’estendersi del debito pubblico e di quello dei cittadini, e, colpa non meno grave, incrementando il disincanto della democrazia e l’allontanamento amaro e risentito dalla partecipazione e dalla responsabilità, rendendo invincibile il potere delle cupole e delle famiglie, chè se una volta era la mafia a imitarli, ora sono loro a mutuare dalla criminalità.
Cinquecento milioni di euro ai partiti per ogni legislatura, tra Camera e Senato, 200 milioni per le elezioni regionali, 230 per le europee. Dal 1997 a oggi, solo i rimborsi elettorali ammontano a oltre 2,7 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti i 70 milioni di euro annui destinati ai gruppi parlamentari, escludendo quelli destinati a infondere un soffio vitale ai fantasmi dei giornali di partito.
A questo dovremmo aggiungere gli oltre 80 milioni “trasparenti” delle donazioni private, influenti per non dire condizionanti di scelte e comportamenti.
Riferendoci solo ai due principali partiti, Pdl e Pd, dal 2008 a oggi hanno ricevuto per rimborsi elettorali 600 milioni di euro. Ma nel 2010, secondo l’ultimo bilancio notificato, il Pdl ha speso circa 20 milioni per la sua campagna mentre ne riceverà di rimborso 53 milioni in cinque comode rate da 10,6 milioni. Il Pd ne ha spesi sempre in quell’anno 14 milioni? Ebbene verrà “risarcito” con 51, più del triplo delle spese sostenute. Si tratta di montagne di quattrini, che non esimono i partiti dell’avere sempre i conti in rosso. E soprattutto dal ricorrere tramite un esercito di mele marce e di compagni che sbagliano, a una diffusa pratica di finanziamento illecito e più o meno occulto.
In un sistema di controllati controllori di loro stessi esiste una spericolata tolleranza per vizi privati, una indulgenza partecipe per i legami familiari e affettivi. Figli, amanti, compagni di merende, affini, complici, chitarristi, massaggiatrici, mecenati, sponsor entrano in un cono di luce, inclusivo ed esclusivo, che assume le forme della setta, dell’impresa familiare cui si deve fedele affiliazione. O della fondazione, nuova forma di business patinato, ostentato come una conversione alla socialità alla riflessione, all’elaborazione politica.
Sarebbero più di 80 i vari pensatoi, le fucine della teoria che sembrano piuttosto inclini a praticare e amministrare invece l’oculata accumulazione. Quelli che qualcuno argutamente chiama più “inciuciatoi” che pensatoi, i think tank, macchine d’affari più che di idee, servono alle correnti, ai passaggi repentini di appartenenza, a stringere alleanze utili, a agire senza troppo comparire e a svolgere attività anche imprudenti, certo inopportune, nella legalità. Mettono d aparte fondi e li reinvestono, hanno cospicui portafogli e controllano società operative, come l’Arel di Enrico Letta, fondata da Andreatta, del quale mette a frutto esplicitamente la lezione e come formiche risparmia e investe. Come la Magna (ebbene si, magna) Carta di Quagliariello che ha germinato una SrL che sforna “prodotti editoriali”. Come la Free Foundation di Brunetta che sorprendentemente ha la stessa partita Iva di una società di consulenza aziendale dal nome eloquente, Full Contract, che è facile immaginare non sia un contratto sociale.
Le fondazioni hanno un regime fiscale agevolato: figurano infatti come organizzazioni no profit, e piuttosto disinvolto: depositano si un bilancio ma non sono tenute a dichiarare chi le finanzia. Anzi proprio d’Alema nel condannare una improvvida e irriverente perquisizione della Guardia di Finanza a Italianieuropei magnificò la legittimità di mantenere una elegante riservatezza su questo tema, motivandola con l’opportunità di non rendere esplicito “l’orientamento di chi elargisce i contributi”.
Le elezioni sono un azzardo e quindi c’è poco da ridire se attraverso fondazioni e associazioni seducentemente culturali arrivano appropriatamente soldi da società di gestione del bingo. È che la fondazione, istituto giuridico previsto dal Codice Civile, in quanto organismo di utilità sociale, gode di privilegi, primi tra tutti quelli di carattere fiscale e l’esenzione dagli obblighi di trasparenza, dei quali non godono i partiti. La pubblicità è un optional, cui con un certo disappunto si prestano alcuni pensatoi, come appunto Italianieuropei che ci fa sapere che gode di sostegni disparati, dalle industrie del tabacco alle immarcescibili Coop, dai farmaceutici a una consociata Fiat. Mentre si sottrae con l’abituale riservatezza la ResPublica di Tremonti, della quale si conosce l’affinità di pensiero con l’Esselunga e con la Riva. Una lezione di discrezione arriva anche dalla fucina di intenti di Pisanu, la Medidea, critico di alcuni metodi berlusconiani, ma allineato nel godere dell’amicizia particolare di Tarak Ben Ammar, che lo colloca tra le sue referenze, come del sostegno di un Caltagirone a piacere e di Finmeccanica che non guasta mai.
L’Espresso, il Giornale, mai smentiti, ogni tanto tornano sul tema, ma come è difficile fare breccia denunciando l’illegalità, è arduo anche rivelare l’inopportunità. In nome del pragmatismo e del realismo, si sono rese tollerabili licenze inaccettabili. I politici onesti, i partiti che fanno certificare i loro bilanci non possono limitarsi ad essere i custodi della loro virtù. E i cittadini che non si arrendono al malaffare, all’indulgenza dell’illegalità, all’affronto alla democrazia hanno il dovere di agire, di guidare un radicale mutamento, poiché non si può certo chiedere ai corrotti di generarlo. È la politica la cura.