C. Fondiaria Sai.
Nella mattinata di oggi sono scattate sette ordinanze di custodia cautelare nei confronti di alcuni componenti della famiglia Ligresti su richiesta della Procura di Torino. L’esecuzione delle sette ordinanze è spettata alla Guardia di Finanza del capoluogo piemontese. Oltre ad alcuni componenti della famiglia Ligresti, vi sarebbero anche alcuni manager che, nel periodo attualmente sotto inchiesta dalla Procura torinese, ricoprivano posizioni ai vertici della Fonsai. In carcere sarebbero dunque finite le figlie di Salvatore Ligresti, Giulia Maria e Ionella. Mentre per il padre sarebbero stati disposti gli arresti domiciliari a Milano. Nel caso di Gioacchino Paolo Ligresti, invece, la situazione è attualmente in bilico. Pare stia dimorando in Svizzera, ma prima di intrecciare rapporti con le autorità elvetiche, gli inquirenti vogliono attendere ancora un momento. Potrebbe infatti, a giorni, rientrare in Italia e consegnarsi personalmente alla giustizia. Sono intanto scattate la manette anche per Emanuele Erbetta e Fausto Marchionni, entrambi ex amministratori delegati della Fondiaria Sai, nonché per Antonio Talarico, ex vicepresidente della società.
I capi di imputazione sarebbero falso in bilancio aggravato e manipolazione di mercato. La ragione che avrebbe condotto gli investigatori a cercare meglio intorno al fatturato della famiglia Ligresti, riguarderebbe un buco di 600 milioni di euro nella riserva sinistri, il quale – per logico effetto – avrebbe provocato danni per circa 12mila risparmiatori. Sulla linea di quanto contestato, i componenti della famiglia Ligresti si vedrebbero dunque accusati di false comunicazioni sociali. La Fondiaria Sai finì sotto i riflettori delle Fiamme Gialle dopo che un’altra società riconducibile ai Ligresti, la Premafin, aveva fatto parlare di sé. Insomma, dopo il caso Premafin, gli inquirenti hanno creduto bene di veder chiaro anche sulla Fondiaria Sai, sulla quale dunque è stata aperta un’inchiesta nell’estate del 2012.
L’inchiesta aperta l’anno scorso portò dunque a galla alcuni reati, quali il già citato falso in bilancio e l’ostacolo alle attività di vigilanza per gli anni 2008-2011. A questi reati, ma soltanto dopo una serie di querele da parte degli azionisti, si sarebbe anche aggiunta l’ipotesi di infedeltà patrimoniale. Di fronte all’evolversi degli eventi, le Fiamme Gialle hanno negli ultimi mesi perquisito numerose sedi del gruppo e sequestrato computer e materiale informatico per un totale di 12 terabytes: un database da far invidia ai servizi segreti. Attualmente ci si starebbe interrogando sui 600 milioni di buco finanziario, che parrebbero contabilizzati per l’anno 2010, al fine di predisporre l’incremento di capitale per l’anno successivo. In verità, quanto accaduto nel 2010 non sarebbe altro che una maldestra falsificazione del bilancio, che per alcuni dovrebbe essere ridefinita come sottovalutazione della riserva sinistri. Falsificazione o sottovalutazione che sia, questo buco di 600 milioni ha permesso una distribuzione degli utili per 253 milioni in direzione della Premafin, dove, al contrario, sarebbe stata registrata una notevole perdita. Sebbene le indagini siano ancora, in un certo qual modo agli inizi vista la vastità dell’impero Ligresti, non è inopportuno pensare che parte dei soldi sia stata rinvestita altrove.
Le ragioni che hanno spinto stamane la Procura di Torino a firmare l’arresto di alcuni componenti della famiglia Ligresti, sembrerebbero molteplici: dal rischio di fuga alla reiterazione del reato all’inquinamento probatorio.
Sul piano della Borsa, dopo una cessione iniziale di 2 punti percentuale, la Fonsai avrebbe in seguito recuperato, sebbene sia nuovamente in perdita dell’1%. Gli azionisti e i mercati, dunque, guardano all’impero Ligresti con una certa prudenza. Nessuno intende esporsi. La premura non è mai troppa.
Articolo di Stefano Boscolo