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For the Win, di Cory Doctorow – Parte 2, Scena 1

Creato il 17 luglio 2011 da Newfractals @NewFractals

For the Win, di Cory Doctorow – Parte 2, Scena 1

Continua da For the Win, parte 1, scena 12

Parte 2:Duro lavoro in gioco

Questa scena è dedicata all’incomparabile Mysterious Galaxy di San Diego, California. La gente della Mysterious Galaxy mi ha fatto firmare libri ogni volta che mi sono trovato a San Diego per una conferenza o per insegnare (il Clarion Writers’ Workshop si trova in UC San Diego vicino a La Jolla, CA), e ogni volta che arrivo riempiono il posto. Questo è un negozio con un leale seguito di fan che sanno che saranno sempre in grado di ottenere ottimi consigli e ottime idee nella libreria. Nell’estate del 2007 ho portato chi frequentava il mio corso di scrittura dal Clarion giù a questa libreria per assistere al lancio dell’ultimo libro di Harry Potter e non ho mai visto una festa così divertente e allegra in nessun negozio.

Mysterious Galaxy: 7051 Clairemont Mesa Blvd., Suite #302 San Diego, CA USA 92111 +1 858 268 4747

Vennero per i giocatori nel gioco e nel mondo reale: un assalto coordinato che lasciò l’organizzazione di Sorellona Nor a pezzi.

In quella notte fatidica, lei aveva preso una stanza sul retro dell’Headshot, un PC Baang nel distretto di Geylang, a Singapore, un quartiere che pulsava tutta la notte per il ruggente mercato del sesso dei bordelli legali e delle adescatrici illegali in strada. In qualsiasi momento della notte, le strade di Geylang erano piene di gente, dagli avventurosi commensali che mangiavano negli eccellenti ristoranti aperti tutta la notte (quasi tutti halal, cosa che la faceva sorridere) a lavoratori in trasferta, dalla gente di Singapore che si aggirava furtivamente cercando emozioni proibite alle ragazze che nelle pause facevano una corsa fino ai centri commerciali aperti tutta la notte per fare shopping.

Il distretto di Geylang era informale quanto poteva esserlo Singapore, uno dei pochi posti in cui potevi andare “oltre i limiti” — fare qualcosa di illegale, immorale, indicibile, o cattivo per l’armonia sociale — senza attrarre troppa attenzione. L’Headshot era illuminato tutta la notte dalle luci stroboscopiche degli schermi, i giochi di poker online, i tornei di shoot-em-up, i lavoratori non residenti che telefonavano da lì per spendere meno, urlando sopra l’insalata di rumori di tutti quei giochi, e, quella notte, anche Sorellona Nor ed il suo clan.

Chiamavano se stessi gli Webblies, un piccolo gioco di parole piuttosto oscuro che divertiva tantissimo Sorellona Nor. Circa un secolo fa, un gruppo di lavoratori aveva formato un sindacato chiamato Industrial Workers of the World, Lavoratori Industriali del Mondo, il primo sindacato che dicesse che tutti i lavoratori dovevano unirsi insieme, che ogni lavoratore era il benvenuto senza che avesse importanza il colore della sua pelle, senza che avesse importanza se il lavoratore era una donna, senza che avesse importanza se il lavoratore faceva lavoro qualificato o non qualificato. Si facevano chiamare Wobblies.

Le informazioni sugli Wobblies erano solo una delle tante cose “oltre i limiti” che erano bloccate nell’Internet di Singapore, e così ovviamente Sorellona Nor si era dedicata a scoprire di più su di loro. Più leggeva, più questo gruppo che veniva fuori dai libri di storia sembrava sensato per il mondo di adesso — tutto ciò che i IWW avevano fatto serviva farlo oggi e, per di più, era più facile farlo adesso di quanto non fosse stato un tempo.

Prendi per esempio l’organizzare i lavoratori. All’epoca dovevi andare dentro la fabbrica, o quanto meno ai suoi cancelli, per spiegare ai lavoratori l’importanza di unirsi ad un sindacato e richiedere condizioni migliori, paghe più alte e meno ore di lavoro. Ora potevi raggiungere queste stesse persone online, da qualsiasi parte nel mondo. Una volta che fossero diventati membri del sindacato, avrebbero potuto parlare con tutti gli altri membri, utilizzando gli stessi mezzi.

Aveva deciso di chiamare la sua piccola organizzazione Industrial Workers of the World Wide Web, la IWWWW, e questa era un’altra di quelle cose che la divertivano un sacco. E la IWWWW era cresciuta e cresciuta e cresciuta. I farmer di gold erano facili da convincere: lavoravano in condizioni terribili in tutto il mondo, per paghe terribili, odiati allo stesso modo dai gestori del gioco e dai giocatori più ricchi. Sapevano già cosa voleva dire fare lavoro di gruppo, avevano già formato le loro piccole gilde — ed erano più bravi ad utilizzare internet di quanto i loro capi sarebbero mai stati.

Ora, un anno più tardi, la IWWWW aveva più di 20.000 membri divisi tra diversi paesi, che pagavano la loro quota e riempivano un abbondante fondo per gli scioperi il cui uso era stato finalmente richiesto a Shenzen, l’ultimo posto in cui Sorellona Nor si aspettava di vedere uno sciopero.

Ma lo avevano fatto, lo avevano fatto! Il capo, un qualche personaggio chiamato Wing, aveva rinchiuso i suoi lavoratori in tre delle sue “fabbriche” — Internet Café di cui aveva preso il controllo per supportare la sua armata di lavoratori in continua crescita — per sfruttare un exploit su Mushroom Kingdom, un MMO basato su Mario che aveva un grosso seguito in Brasile. Uno dei suoi lavoratori aveva trovato il modo per triplicare i gold che si potevano tirare fuori da uno dei dungeon, e Wing voleva estrarre ogni penny possibile prima che la Nintendo-Sun li scoprisse.

Fu così che il suo telefono iniziò a riempirsi di messaggi urgenti che le venivano ritrasmessi dalle sue varie identità in gioco per dirle che i lavoratori avevano sbattuto fuori i capi delle fabbriche e le guardie ed erano usciti, arrampicandosi sui lati dell’edificio, o i tralicci del telefono, tagliando i cavi che connettevano l’Internet Café alla rete. Si erano raccolti e avevano iniziato a inneggiare slogan improvvisati — per lo più riadattati dai loro gridi di battaglia in gioco. E ora volevano sapere cosa fare.

“E’ uno sciopero a gatto selvaggio”, aveva detto Sorellona Nor ai suoi luogotenenti, Il Possente Krang e Justbob, il primo un piccolo tipo cinese con le punte dei capelli tinte di viola, la seconda una ragazza Tamil con un meraviglioso sari immacolato e pantofole di seta – una ragazza che un tempo faceva parte di una delle più note girl-gang in Asia ed aveva passato tre anni in galera per questo motivo. “Stanno scioperando a Shenzhen”. Inoltrò i tweet, i blip e i messaggi di allerta del suo telefono, poi mostrò loro lo schermo del proprio cellulare mentre aspettavano che i messaggi inoltrati raggiungessero i loro.

“E’ folle”, disse Il Possente Krang, passando il peso da un piede all’altro, eccitato, “è folle, è folle, è…”

“Meraviglioso”, disse Justbob, piantando i palmi delle sue mani sulle spalle di lui e riportandolo sulla Terra. “Ed era molto che doveva succedere. L’ho predetto. L’ho predetto dall’inizio. Appena inizi a raccogliere soldi per uno ‘fondo per gli scioperi’, qualcuno andrà in sciopero. E la-la, eccoci qui, a passare la notte a fare i gatti selvaggi.”

Il passo successivo fu di andare nel loro quartiere generale, la stanza sul retro dell’Headshot, per sbattersi sulle loro sedie e scendere nei mondi, diffondendo la notizia del loro primo sciopero a tutti i 20.000 membri. Sorellona Nor si mise a lavorare a un piano d’azione:

1. Diffondere la notizia e serrare i ranghi.

2. Reclutare dei picchetti nei mondi per bloccare il posto di lavoro in maniera che quel Boss Wing non potesse usare dei crumiri — lavoratori di rimpiazzo — per completare il lavoro.

3. Chiamare i capi del gruppo di scioperanti al telefono e parlare di avvocati dei diritti umani, salario degli scioperanti, posti per dormire per tutti quei lavoratori che si usavano i dormitori della fabbrica.

4. Fare arrivare i filmati e i resoconti in tempo reale dagli scioperanti fino agli attivisti per i diritti umani, organizzare interviste e incontri con la stampa per i capi del gruppo di scioperanti.

Aveva già vissuto questa situazione, nella vita reale, dall’altro lato, come il capo di uno sciopero spontaneo che era iniziato quando i capi della sua tessitoria a Taman Makmur annunciarono tagli agli stipendi perché il loro grosso distributore europeo aveva diminuito gli ordini. Succedeva ogni anno, ma la faceva arrabbiare così tanto — i lavoratori non guadagnavano di più quando gli affari andavano meglio, dividendo la buona fortuna quando i distributori aumentavano gli ordini, ma erano costretti a condividere il fardello dell’azienda quando gli ordini calavano. Beh, che se lo scordassero, troppo era troppo. Si alzò nel bel mezzo della fabbrica e denunciò dei capi per quegli avidi bastardi immorali che erano e quando la sicurezza si mosse per prenderla, rimase dritta, orgogliosa e forte, pronta ad essere picchiata per la sua insolenza.

Invece i suoi compagni lavoratori si levarono in sua difesa, le giovani donne intorno a lei alzandosi in piedi e circondandola, festeggiandola, mentre le grida ululate a squarciagola rimbalzavano sul soffitto e riempivano la stanza e il suo cuore, rendendo tutti loro coraggiosi, al punto che gli uomini della sicurezza indietreggiarono e loro presero il controllo della fabbrica, bloccando i cancelli, fermando i macchinari. Poi qualcuno del sindacato malese degli impiegati tessili (MUTE – Malaysian Union of Textile Employees) era arrivato da loro per convincerli a tesserarsi, entrando nel sindacato, e qualcuno la nominò capo picchetto e poi…

E poi tutto intorno a loro iniziò a collassare, arrivarono i camion della polizia, la polizia formò una linea e ordinò loro di disperdersi, tornare al lavoro, interrompere questa follia prima che qualcuno si facesse male, abbaiando ordini attraverso un megafono, fissandoli da sotto i loro elmetti anti sommossa, colpendo i propri scudi con i manganelli, lanciando contro di loro lacrimogeni.

La loro linea si disperse, si disintegrò, arretrò. Ma si riunirono in una via vicino alla fabbrica, in mezzo a un gruppetto di bambini che li fissavano, e le donne del MUTE acciuffarono i bambini e li mandarono a prendere di corsa del latte… latte di mucca, di capra, qualsiasi cosa riuscissero a trovare, poi lavarono alle altre scioperanti gli occhi col latte, trattenendo le loro facce mentre questi tossivano e soffocavano. Il gas CS, solubile nei grassi, venne sciacquato via, lasciandoli lacrimanti ma in grado di vedere, i colpi di tosse diminuirono e qualcuno tirò fuori una borsa di mascherine filtranti a base di carbone attivo, qualcun altro una borsa di occhialini per nuotare e le donne tirarono su gli hijab a coprire gli occhi, le maschere, fino a far sembrare il loro viso il grugno di un qualche animale. Riformarono la linea e tornarono marciando, cantando i loro slogan.

La polizia lanciò nuovamente i lacrimogeni, ma, questa volta, i capi picchetto furono in grado di far mantenere la formazione, di mandare donne coraggiose in avanti ad afferrare i contenitori fumanti dei lacrimogeni e rilanciarli indietro contro la polizia. Per un momento sembrò che la polizia stesse per caricare, ma le scioperanti e le organizzatrici stavano riempiendo internet di fotografie dello sciopero con i loro telefonini, in grado di superare il firewall nazionale, facendole arrivare ai gruppi per la protezione dei diritti umani. Così il Ministero del Lavoro, che stava venendo investito da telefonate da parte della stampa straniera, finì per chiamare il Ministero della Giustizia e la polizia si ritirò.

La prima schermaglia era finita, ma le scioperanti si erano preparati ad un lungo assedio. Nessuno entrava o usciva dalla fabbrica senza venire arringato da centinaia di giovani donne, che infilavano a forza attraverso i finestrini delle automobili e degli autobus testi sulle condizioni di lavoro, lamentele e richieste. Qualche lavoratrice di rimpiazzo riuscì ad entrare, qualcuno provò a resistere, qualcuno si girò e se ne andò. Un camionista, che apparteneva a sua volta ad un sindacato, si rifiutò di superare la loro linea e raccogliere il carico che era stato mandato a prendere, così questo rimase semplicemente lì, nella zona di carico.

I giorni si trasformarono in settimane, nutrirono le loro famiglie come potevano utilizzando il salario degli scioperanti, che era un terzo di quanto guadagnassero nell’impianto, ma anche i proprietari della fabbrica — una sussidiaria di una compagnia Olandese — stavano soffrendo. Le organizzatrici del MUTE spiegarono che l’azienda madre doveva rilasciare il resoconto quadrimestrale ai suoi azionisti, che avrebbero chiesto di sapere perché questa importante fabbrica stava rimanendo chiusa invece di produrre denaro. Le organizzatrici offrirono rassicurazioni fiduciose sul fatto che, quando questo fosse successo, le richieste dei lavoratori sarebbero state ascoltate, lo sciopero sarebbe finito e tutti sarebbero potuti tornare a lavoro.

Così tutti rimasero lì, tenendo su il morale e stabile la linea e poi…

La fabbrica chiuse.

Sorellona Nor lo scoprì una sera mentre stava giocando a Theater of War VII, un gioco a cui giocava fin da quando era una ragazzina. Una delle sue compagne di gilda era una ragazza il cui fratello passava davanti alla fabbrica ogni giorno, tornando a casa da scuola, e aveva visto che stavano togliendo le macchine dalla fabbrica, portandole via con grossi carri.

Sorellona Nor inviò sms a tutte le persone che conosceva, Andate subito alla fabbrica, ma per quando arrivarono lì, la fabbrica era morta, vuota, i cancelli chiusi da catene. Non arrivò nessuno del sindacato. Nessuno di loro rispose alle loro telefonate.

E le donne che lei chiamava sorelle, le donne che l’avevano salvata quando lei aveva detto basta, la guardarono tutte e le chiesero, Cosa facciamo ora?

E lei non lo sapeva. Riuscì a trattenere le lacrime fino a quando non fu arrivata a casa, ma poi iniziarono a scorrere copiose e i suoi genitori — che avevano dubitato di lei e le avevano consigliato di fermarsi ogni giorno — le rimproverarono la sua pazzia, le dissero che era colpa sua se adesso tutti i suoi amici avevano perso il lavoro.

Si era stesa sul letto quella notte, miserabile, per svegliarsi al debole squillo del suo telefono.

Sono fuori. Era Affendi, l’organizzatrice del MUTE a cui era più legata. Vieni alla porta.

Scivolò fuori silenziosa come un gatto ed ebbe a malapena il tempo di riconoscere la silhouette di Affendi prima che questa collassasse fra le braccia di Nor. Era stata pestata a sangue, aveva gli occhi neri, due dita rotte, le labbra distrutte e le mancava un dente. Riuscì a fare un sorriso straziato e disse “Fa tutto parte del mio lavoro”

Poco dopo cena, c’era stata una retata nell’hotel economico dove le quattro organizzatrici avevano condiviso una stanza, la polizia le aveva portate via. Erano preparate a questo, avevano degli avvocati pronti ad aiutarle quando fosse successo, ma non ebbero modo di chiamarli. Non furono messe in galera. Invece vennero portate in una baraccopoli dietro la principale stazione ferroviaria e tre poliziotti erano rimasti di guardia mentre un gruppo di guardie di sicurezza private della fabbrica avevano fatto a turno a picchiarle con manganelli, pugni e calci, urlando insulti, chiamandole puttane, strappando loro i vestiti di dosso, colpendole al seno e alle cosce.

Si fermarono solo quando una delle donne perse i sensi, sanguinando da una ferita alla testa e con le palpebre che tremavano. A quel punto gli uomini erano fuggiti, prendendo prima il loro denaro e i loro documenti, lasciandole lì piangenti e ferite. Affendi era riuscita a nascondere un secondo telefono cellulare — una cosina grande quanto una scatola di fiammiferi — nelle sue mutande, e quello le aveva permesso di chiamare il quartier generale del MUTE chiedendo aiuto. Una volta che l’ambulanza fu stata chiamata, era venuta a prendere Nor.

“Probabilmente verranno a prendere anche te”, disse. “Di solito cercano di usare i lavoratori che hanno fatto cominciare i loro problemi come esempio per gli altri”.

“Ma mi avevi detto che dovevano accordarsi con noi perché i loro azionisti…”

Affendi alzò una mano distrutta. “Ho pensato che lo avrebbero fatto. Ma invece hanno deciso di andarsene. Pensiamo che probabilmente sono andati in Indonesia. Le nuove leggi che sono state approvate lì rendono molto più difficile organizzare i lavoratori. E’ così che vanno le cose, a volte.” Scrollò le spalle, poi trasalì e respirò fra i denti. “Abbiamo pensato che volessero starsene tranquilli qui. Il governo provinciale ha dato loro fin troppo per convincerli a venire qui — sconti sulle tasse, nuove strade, servizi gratuiti per cinque anni. Ma ci sono delle nuove Zone Economiche Speciali in Indonesia che offrono condizioni ancora migliori”. Scrollò nuovamente le spalle, nuovamente trasalì. “Potrebbe anche non succederti nulla di male qui. Forse se ne andranno e basta. Ma ho pensato che tu dovessi avere la possibilità di andare in qualche posto sicuro con noi, se lo volevi”.

Nor scosse la testa. “Non capisco. Un posto sicuro?”

“Il sindacato ha un rifugio subito oltre il confine della provincia. Possiamo portarti lì stanotte. Possiamo aiutarti a trovare un lavoro, rimetterti a posto. Puoi aiutarci a sindacalizzare un’altra fabbrica”

Una pioggerellina leggerà cominciò a cadere, colpendo le palme che erano allineate lungo la strada di casa sua e cadendo in grossi goccioloni bagnati, portando dal suolo l’odore del terriccio. Una grassa goccia cadde da una foglia sopra di loro e colpì il collo di Nor, ricordandole che era uscita di casa senza il suo hijab, cosa che non faceva quasi mai. Le sembrò un segno, come se la sua vita stesse cambiando sotto ogni possibile aspetto.

“Dove andiamo?”

“Lo scoprirai una volta che ci arriviamo. Non lo so neanche io. E’ il motivo per cui è una casa sicura — nessuno sa dove sia a meno che non debba saperlo. E’ già successo che degli organizzatori del MUTE siano stati assassinati, capisci.”

Perché non me lo hai detto quando tutto questo è cominciato? Avrebbe voluto dire. Ma i suoi genitori glielo avevano detto. I capi li avevano avvisati, dai megafoni, del fatto che stavano rischiando tutto. Lei aveva riso di loro, piena della sensazione di sorellanza e di sicurezza, di potere. Quella sensazione ora se ne era andata.

Era andata via con Affendi, aveva trovato lavoro in una fabbrica che era molto simile a quella che aveva lasciato e c’era stata una lotta sindacale molto simile a quella che aveva combattuto, ma, questa volta, loro erano più preparati. I lavoratori l’avevano chiamata “Sorellona Nor” un termine che mostrava affetto e che la spaventava un poco, venendo fuori dalle bocche di donne molto più anziane di lei, venendo fuori da giovani ragazze che non potevano rendersi conto del pericolo.

Questa volta i proprietari non fuggirono, i lavoratori ottennero migliori condizioni contrattuali e Sorellona Nor si accorse che non voleva più lavorare nel settore tessile. Scoprì che le piaceva la lotta.

Ora c’era un giovane uomo, qualcuno chiamato Matthew Fong, a Shenzhen, che si stava affidando a lei per aiutarlo ad ottenere una propria dignità, una paga onesta e un posto di lavoro sicuro. E lo stava facendo in Cina, dove i sindacati non ufficiali erano illegali e chi organizzava i lavoratori a volte scompariva in prigione per anni.

Il Possente Krang parlava un meraviglioso mandarino, come anche il suo nativo cantonese, così aveva l’incarico di fare registrazioni per la stampa cinese straniera, quel network di risorse di notizie il cui pubblico erano le centinaia di milioni di persone di origini cinesi che vivevano all’estero. Loro erano la chiave, perché erano intimamente connessi all’intera impresa di importazioni ed esportazioni, in fervente crescita. Per questo, quando parlavano, i burocrati a Beijing ascoltavano. E Il Possente Krang poteva metter su una voce così convincente che a sentirlo parlare avresti giurato che si trattasse di un giornalista televisivo.

Justbob aveva l’incarico di supportare moralmente gli scioperanti, parlando loro in un cantonese spezzato, in singlish e in gamer-speak tramite internet, tenendo alto il loro morale. Poteva lavorare contemporaneamente a tre telefoni e due computer come fosse un polipo umano, l’attenzione divisa fra una dozzina di conversazioni senza perdere il filo di nessuna di esse.

E Sorellona Nor? Lei era nei mondi di gioco, disponendo i ranghi dei Webbly nel sito di lavoro di Mushroom Kingdom, cercando giocatori, che convergevano da tutta l’Asia — dove era notte –, dall’Europa — dove era giorno — e dall’America — dove era mattina. Era meglio che l’amministrazione non sprecasse tempo per portare lavoratori di rimpiazzo. C’erano sempre dei disperati subappaltatori fuori nelle provincie della Cina, dieci ragazzi in una qualche città industriale fantasma a Dongbei che erano stati attratti ai computer con dei bei discorsi sull’essere pagati per giocare. Arrivarono attraverso una dozzina di shard differenti dello stesso mondo di Mushroom Kingdom, una dozzina di realtà alternative, e Sorellona Nor giocò la parte del generale in una prima schermaglia contro di loro, mentre gli scioperanti bloccavano l’entrata del dungeon e mandavano un fiume di messaggi e URL a favore del sindacato verso gli attaccanti, persino mentre stavano combattendo per tenerli fuori dal dungeon.

La battaglia non era dura, non all’inizio. I lavoratori di rimpiazzo erano lì per uccidere stupidi NPC in una maniera noiosa e prevedibile che non avrebbe attirato i Turchi Meccanici, portando la Nintendo-Sun ad interessarsi della loro operazione. Erano tutti giocatori stagionati, abituati al gioco di squadra e molti degli Webbly non avevano mai combattuto fianco a fianco prima. Ma gli Webbly stavano combattendo per il movimento, mentre i lavoratori di rimpiazzo — li chiamavano “crumiri”, un altro termine che veniva dai libri di storia — stavano combattendo perché non sapevano che altro fare.

Fu una disfatta. I crumiri vennero rimandati ai loro punti di respawn a migliaia, senza essere in grado di tornare a lavorare finché non avessero fatto le loro corpse run, e gli Webbly alzarono le loro spade e spararono palle di fuoco nel cielo, festeggiando in dozzine di lingue.

Anche le notizie da Shenzhen erano buone, giudicando da ciò che Justbob stava dicendo nel suo microfono e digitando sui suoi schermi. Le fila degli scioperanti stavano reggendo e, anche se la polizia era lì, non si stava muovendo. A dire il vero, sembrava che fossero arrivati per bloccare gli agenti privati di sicurezza della fabbrica!

Silenziosamente, Sorellona Nor ringraziò Matthew Fong per aver scelto una battaglia che — all’apparenza — potevano vincere. Chiamò con un grido Ezhil, dell’Headshot, chiedendole un bubble-tea al ginseng per tutti, la radice di ginseng avrebbe dato loro energia. Non si può vivere di sola caffeina e taurina!

“Ezhil!” urlò di nuovo un minuto più tardi, alzando lo sguardo dal mouse. “Bubble-tea!”. Se avesse prestato attenzione, avrebbe potuto notare la nota stridente nella voce di Ezhil mentre questo prometteva che sarebbe arrivato subito, subito.

Ma la sua attenzione era fissa sugli schermi, perché era lì che tutto era di colpo iniziato ad andare decisamente male. Ciò che aveva preso per palle di fuoco lanciate in cielo dagli scioperanti per festeggiare, stavano ora atterrando in mezzo ai giocatori, infliggendo gravi danni. Proprio mentre stava notando questo una raffica di gusci di tartaruga chiodati arrivò slittando da una zona al di fuori della sua visuale, in dodici mondi contemporaneamente.

Imboscata!

Abbaiò la parola nel suo microfono in mandarino, poi in cantonese, poi in hindi, poi in inglese. L’urlo venne ripetuto dai giocatori che si riallinearono, formando squadroni di battaglia, i guaritori al centro, i tank sui lati esterni, agili ladri e scout che si spargevano nella foresta di funghi, cercando chi li aveva attaccato.

Tutto ciò avrebbe funzionato molto meglio se fossero stati una gilda regolare, tutti quanti giocatori dalla parte del malvagio Bowser o della valente Principessa Peach, perché se si era tutti dalla stessa parte, il gioco coordinava parte dei tuoi movimenti per te, ti forniva la posizione degli altri giocatori alleati. Ma gli scioperanti venivano da entrambe le facce della medaglia morale di Mushroom Kingdom e, per quanto ne poteva sapere il gioco, erano nemici giurati. I loro messaggi istantanei erano inintelligibili per i giocatori della fazione opposta e la opzione di dafault per quando cliccavi un personaggio “nemico” era ATTACCO, cosa che portava ad un sacco di schermaglie accidentali.

Ma i gold-farmer sapevano ogni cosa sul come si giocava il loro gioco, un gioco che viveva al di fuori di quello che le compagnie volevano far loro giocare. Gli strumenti di comunicazione in gioco erano potenti e semplici da usare, ma nulla (eccezion fatta per il ridicolo “agreement” che dovevi cliccare ogni volta che accendevi il gioco) ti impediva di usare un qualsiasi altro programma. Il loro programma gratuito preferito per chattare era stato sviluppato per aiutare gruppi di lavoro aziendali a collaborare; questi servizi avevano sempre una versione demo gratuita, con lo scopo di convincere qualcuno a comprare 30.000 licenze per la propria azienda multinazionale. Questi programmi permettevano addirittura di condividere screenshot del proprio computer, così Sorellona Nor fece in modo di disporre questi in sequenza, formando una grossa visione panoramica dell’intero campo di battaglia.

Passò in rassegna le varie scene di battaglia e le comunicazioni, le dita che volavano sulla tastiera. Avevano una Koopa Turbo Hammer in sette dei mondi, un enorme, vorticante, martello dorato che poteva colpire una dozzina di attaccanti in un singolo colpo. Lei le aveva portate in avanti, usando gli screenshot degli scout per identificare le posizioni dei nemici, trasmetterle ai suoi lancia-martelli, un gran numero di corpulenti Kong con grosse zanne ed enormi toraci pelosi.

Quelle erano sette battaglie risolte; nelle restanti cinque ordinò alle Pesche di mettersi in formazione con gli ombrelli pronti, poi mandò due Bowser a “rimbalzare” su di essi, rimanendoci attaccati e facendo solo dei danni minimi alle Pesche. Le Pesche aprirono i loro ombrelli e iniziarono a volare, portando i Bowser con se, per farli cadere dietro le linee nemiche, pronti a sputare fuoco e schiacciare le forze nemiche. Questo era un attacco devastante, possibile solo se giocavi al gioco dei farmer, cooperando tramite un canale collaterale. Normalmente, i Bowser e le Principesse Peach erano sui lati opposti della Grande Guerra che era al centro della storia di Mushroom Kingdom.

Avrebbe dovuto funzionare — i martelli, i Bowser, i validi giocatori di una dozzina di gilde, irti di armi e armature, lanciando incantesimi, sparando e facendo schermaglia.

Avrebbe dovuto funzionare — ma non era successo.

Gli attaccanti misteriosi — li chiamava, nella sua mente, “Pinkertons”, prendendo spunto dai provocatori della Pinkerton Detective Agency, che erano stati i peggiori nemici degli Wobbly — sembravano essere infiniti, ed ogni attacco che lanciavano sembrava fare il massimo danno possibile. Nel frattempo erano in grado di fare incredibili schivate e difendersi dagli attacchi degli scioperanti. E la loro mira! Ogni palla di fuoco, ogni tartaruga, ogni bomba sonora, ogni ascia lanciata colpiva il bersaglio con perfetta accuratezza.

Era quasi come se stessero…

… Barando!

Doveva essere così. Stavano usando delle cheat. Erano degli aimhacks, dei dodgehacks, tutti gli add-on proibiti che il gioco doveva in teoria essere in grado di identificare e disabilitare. In qualche modo erano riusciti ad aggirare le difese del gioco. Non importava. Il gioco era sempre pensato per andare contro ai gold-farmer.

“Indietro”, urlò, “ritirata!”. Questa doveva diventare una battaglia di guerriglia, nella giungla, nascondendosi nei cespugli e bersagliarli di nascosto mentre loro facevano lo stesso. Li avrebbe attirati nella radura che segnava l’entrata del dungeon e poi li avrebbero circondati aggirandoli nella foresta di funghi, usando la loro superiore coordinazione per battere gli hack e la superiorità numerica che i Pinkerton avevano dalla loro parte. Nelle sue cuffie sentiva i respiri tormentati, le maledizioni in sei lingue diverse, le risate e le urla di giocatori di tutto il mondo, che la ascoltavano mentre trasmetteva i suoi comandi a tutte le diverse versioni di Mushroom Kingdom in cui stavano combattendo.

Si rese conto di stare sorridendo. Questo sì che era divertente. Molto più divertente che beccarsi i lacrimogeni della polizia.

Quella di utilizzare i giochi per organizzarsi era stata un’idea di Sorellona Nor. Perché rischiare il collo in una fabbrica o ai suoi cancelli quando potevi ritrovarti in mezzo ai lavoratori, in qualsiasi posto del mondo si trovassero, e parlare loro di cosa voleva dire unirsi al sindacato? Un sacco della vecchia guardia del MUTE aveva pensato che fosse pazza, ma aveva anche avuto un sacco di supporto — soprattutto quando Nor aveva mostrato loro che poteva raggiungere i lavoratori tessili dell’Indonesia che avevano ereditato il suo lavoro quando la sua fabbrica era stata chiusa per spostarsi in quel paese, semplicemente loggando in Spirals of the Golden Snail, un gioco che impazzava in tutta la penisola malese.

Non importava dove combattevi, importava se vincevi. E più pensava a questo, più realizzava che poteva vincere in gioco. I capi erano migliori a lanciare contro di loro i lacrimogeni, ma loro erano migliori a lanciare palle di fuoco, utilizzare armi ad energia, siluri fotonici e pesci volanti selvaggi — e lo sarebbero sempre stati. Fatto ancor più importante, uno scioperante che perdesse una schermaglia in gioco doveva semplicemente respawnare e fare una corpse run, forse perdendo un po’ dei suoi oggetti nel farlo. Uno scioperante che perdesse uno scontro AFK — Away From Keaboard — poteva finire ammazzato.

Sorellona Nor viveva nella continua paura che qualcuno morisse per colpa sua.

Le sorti della battaglia stavano nuovamente cambiando. I Pinkerton erano caduti nella sua trappola, permettendo loro di correre avanti e indietro nella foresta di funghi, a tutti gli effetti scambiando le postazioni. Ora loro stavano nascondendosi nei boschi, facendo piccole imboscate, fortificando posizioni e facendo fuoco da ogni direzione. Il respiro, l’ansimare, le voci trionfanti nella sua testa e le frasi scritte in fretta e furia nella chat di gioco le davano la sensazione che le sorti della battaglia fossero appoggiate sulle punte delle sue dita, con ogni cambiamento e variazione percepibile come un tremito sulla sensibile pelle della mano.

Sorellona Nor chiamò di nuovo per avere il suo Bubble-tea, rendendosi conto che era in effetti passato molto tempo da quando lo aveva ordinato per la prima volta. Questa volta, nessuno rispose. Sentì la pelle del collo accapponarsi, mentre si sfilava le cuffie. Justbob e Il Possente Krang, vedendola, fecero lo stesso un secondo più tardi. Non veniva nessun rumore dal davanti dell’Headshot, nessuno dei richiami dei giocatori iperattivi, o le urla dei lavoratori che chiamavano casa con cuffie e microfoni economici.

Sorellona Nor si alzò quietamente e velocemente e si mise spalle al muro, facendo cenno agli altri di fare lo stesso. Sul suo schermo vide un altro attacco dei Pinkerton, che stavano sfruttando l’improvvisa mancanza di una guida strategica dei loro nemici per catturare diverse delle piccole basi degli scioperanti. Lei si mosse verso la porta molto, molto, molto lentamente e sporse la testa per vedere oltre l’apertura, poi si ritrasse indietro il più velocemente possibile.

CORRETE, formò l’ordine con le labbra, diretto ai suoi luogotenenti, ed iniziarono a correre verso la porta sul retro, la via di fuga che Sorellona Nor faceva sempre in modo di avere quando si stabiliva in un posto per lavorare per il sindacato.

E alle loro calcagna li inseguivano i Pinkerton, i Pinkerton del mondo reale, uomini malesi con vestiti da lavoro, uomini poveri armati di bastoni e qualche catena, uomini che stavano avvicinandosi alla porta quando Sorellona Nor si era sporta a guardare.

Adesso gridavano contro di loro, eccitati e con voci acute, come i fischi dei ragazzi ubriachi, agli angoli delle strade, quando sono sotto effetto del coraggio dei numeri, degli ormoni e dell’alcool. Quello era un suono pericolo. Era il suono di idioti che si aizzano l’un l’altro.

Sorellona Nor colpì il maniglione antipanico della porta sul retro con entrambe le mani, aprendolo con tutto il peso del suo corpo. La porta era rotta, e si richiuse subito come una trappola per topi. Fu un ottima cosa, perché si mosse così velocemente che due dei Pinkerton che stavano aspettando lì per sbarrare loro la strada non ebbero tempo di togliersi di mezzo. Uno cadde a terra, l’altro fu sbattuto contro un muro di calcestruzzo con un “thud” vibrante che Sorellona Nor sentì nei palmi delle mani.

La porta rimbalzò contro di lei, facendola sbattere contro Il Possente Krang, che la prese, la spinse in avanti, mani sulle sue spalle, respiro affannato nelle sue orecchie.

Erano in uno scuro, stretto, puzzolente vicolo che connetteva due delle lorang, le piccole strade che si dipartivano da Geylang Roas, ed era il tempo di R e G — “Run and Gun”, quello che facevi quando tutti gli altri tuoi piani collassavano. Sorellona Nor aveva pensato a tutto abbastanza da essere certa di avere una uscita sul retro, ma non da prepararsi qualcosa per dopo.

I Pinkerton erano vicini, ma erano trattenuti dal vicolo incredibilmente stretto e nessuno poteva realmente correre o muoversi più velocemente che un piccolo gruppo disperato.

Ma poi si liberarono nella successiva lorang, e Sorellona Nor corse verso destra, sperando di arrivare abbastanza in là nella strada da giungere in vista dei ristoranti aperti tutta la notte.

Non ce la fece.

Uno degli uomini tirò il suo bastone contro di lei e la colpì in mezzo alle spalle, lasciandola senza fiato e facendola cadere su un ginocchio. Justbob afferrò con una mano la sua blusa e la tirò in piedi con un suono di stoffa strappata, trascinandola in avanti, ma con la sua caduta avevano perso il poco vantaggio che avevano e ora gli uomini li avevano raggiunti.

Justbob si girò verso di loro, ringhiante, lanciando un grido senza parole, usando la forza d’inerzia del movimento per un incredibile calcio a girare che colpì uno dei Pinkerton, un uomo con gli occhi assonnati e folti baffi. Il piede di Justbob lo colpì al fianco e tutti sentirono il suono delle sue costole che si rompevano sotto il piede calzato dai modesti sandali con i loro falsi gioielli. Il sandalo volò via e cadde sulla strada con il suono di gemme finte.

Gli uomini non si erano aspettati una cosa del genere, e ci fu un momento in cui tutti si fermarono, guardando il loro compagno caduto e in quell’istante Sorellona Nor pensò che — forse — potevano tutti fuggire. Ma il torso di Justbob si raddrizzò, la sua faccia contorta dalla rabbia, e poi lei saltò sull’uomo successivo, un uomo grasso con una tuta coperta di sudore, mirando agli occhi di lui coi suoi pollici. Quando lo raggiunse, l’uomo accanto a lui alzò il bastone e lo abbassò con violenza contro di lei, colpendola di striscio sullo zigomo e rompendole la clavicola.

Justbob ululò come un cane ferito e cadde indietro, riuscendo a tirare un pugno all’inguine del suo avversario mentre cadeva.

Ma ora i Pinkerton erano su di loro, le mani alzate, i bastoni in alto, e mentre il primo colpiva il seno sinistro di Sorellona Nor, lei urlò, la mente piena dell’immagine delle dita rotte di Affendi, della sua faccia irriconoscibile e gonfia. Da qualche parte a pochi seducenti metri di distanza lungo il lorang, la gente stava banchettando con pesce e capra al curry, gli odori arrivavano fino a loro. Ma lei era qui. Qui, Sorellona Nor era ad una distanza infinita da loro, e i bastoni si alzarono e ricaddero mentre lei si raggomitolava per proteggere la testa, il seno, lo stomaco e facendo così esponeva i teneri reni, le delicate costole. Giacque così, sopportando una stagione all’inferno che si protrasse per un’eternità e mezzo.


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