FORLI’ – Fino al prossimo 16 giugno, ai Musei San Domenico di Forlì si celebrerà attraverso una mostra il Ventennio artistico che va dal 1919 al 1939. La mostra dal titolo “Novecento, arte e vita in Italia tra le due guerre” vuole far rileggere questo momento artistico del nostro paese come un “nuovo Rinascimento” con “vette di creatività e qualità pittorica che non verranno mai più eguagliate”. Per i critici, infatti, questo periodo viene soltanto liquidato come il “ritorno all’ordine”.
Spiega tutto Libero con un articolo “Il Ventennio d’oro dell’arte italiana” pubblicato il 3 marzo e firmato da Andrea Colombo:
“Una grande mostra a Forlì, ai Musei San Domenico (fino al 16 giugno) celebra il Novecento, arte e vita in Italia tra le due guerre. Dal 1919 al 1939: un Ventennio magico, ingiustamente etichettato con la formula riduttiva del ritorno all’ordine, in cui la produzione artistica del nostro Paese ha raggiunto picchi che possono essere considerati come un nuovo Rinascimento. Vette di creatività e qualità pittorica che non verranno mai più eguagliate. Un periodo, questo, che non a caso coincide in gran parte con gli anni del consenso al regime mussoliniano, un regime che investì molto, moltissimo, sulla promozione della cultura. Non vi è alcun bisogno, ovviamente, di sdoganare questi decenni chiave della storia artistica italiana, visto che i più importanti musei del mondo, sin dall’immedialo dopoguerra, hanno acquistato ed esposto capolavori di maestri che hanno operato in quegli anni, da Giorgio De Chirico a Carlo Carrà, da Ardengo Soffici a Felice Casorati, da Fortunato Depero a Enrico Prampolini, da Adolfo Wildt a Mario Sironi tutti ampiamente rappresentati in questa mostra”.
“Si possono ammirare capolavori assoluti, come la grande tela ‘Il concerto’ (1924) di Felice Casorati o ‘Processsione’ (1933) di Ardengo Soffici. Ciò che è nuovo nell’esposizione forlivese, curata da Fernando Mazzocca, è la dimostrazione che anche quella che fino a pochi anni veniva considerata, con un certo disprezzo, arte di propaganda, è in realtà anch’essa meritevole di rispetto e considerazione. La precisione nelle linee, la mancanza di sbavature e il rifiuto della degenera/ione e della decolli posizione, propria di tante altre opere contemporanee (pensiamo soprattutto al gusto per l’orrido e il mostrilo so dell’espressionismo, di Georg Gròsz e Otto Dix solo per fare due nomi fra i più noti), connota tutto il cosiddetto secondo futurismo, le opere murali e tanta, raffinata, grafica delle riviste d’epoca”.
“Esemplare in tal senso ‘Dinamica dell’azione’ (1939) di Enrico Prampolini: un Mussolini in sella a un cavallo bianco dipinto secondo i canoni innovativi del secon do futurismo aeropittorico. A certificare l’enorme interesse per il Novecento italiano è Antonio Paolucci, già ministro della Cultura e Soprintendente per il Polo museale fiorentino, che in un ampio saggio incluso nel catalogo, inquadra i temi fondamentali dell’estetica tra le due guerre. Prima di tutto chiarisce che il fascismo, al contrario del comunismo sovietico e del nazionalsocialismo tedesco, pur muovendosi all’interno di un autoritarismo a partito unico, lasciò ampia libertà di espres sione: e così troviamo varie correnti, dal futurismo alla metafisica, dai novecentisti agli strapaesani, che si contendono l’arena delle varie Biennali (mai così ricche di proposte come in quegli anni)”.
“Una ricchezza multiforme, ritratto di una cultura dai mille volti. Un mondo in cui Mussolini, amico di Filippo Tommaso Marinetti, legato sentimentalmente alla creatrice della corrente novecentista, Margherita Sarfatti, si sentiva a suo agio. Il Duce infatti si definiva ‘artista fra gli artisti’. Sarà proprio la Sarfatti che, utilizzando il genio di Wildt, darà un volto al mito di Mussolini come nuovo Cesare. Non a caso vi è una sezione della mostra intitolata ‘Il mito classico. Dei ed eroi’, affollata dai capolavori di De Chirico, Achille Funi, Corrado Cagli e Ubaldo Oppi. ‘Bisogna riconoscere’, scrive Paolucci, ‘che il governo fascista seppe guadagnarsi l’adesione pressoché unanime del mondo delle arti. Lo fece con una serie di leggi che collocavano l’arte e la cultura fra gli obiettivi fondamentali e primari della sua politica’. Ciò avvenne, secondo Paolucci, soprattutto per merito di Giuseppe Bottai, ‘un uomo che non è esagerato definire il più grande o almeno il più intelligente ministro della Cultura che l’Italia moderna abbia avuto”.
“Ma anche nell’arte applicata, il Ventennio brilla per originalità e gusto. Se:rive ancora Paolucci: ‘In un settore particolare il Regime seppe essere ef ficace e anche lungimirante. È il settore che riguarda la moda, l’arredo domestico, il disegno industriale. Il successo internazionale della “linea” italiana affermatasi nella seconda metà del XX secolo affonda in quella stagione le sue radici e sta, in mostra, sotto l’epigrafe di “Vivere. Lamoda dall’autarchia allo stile italiano”‘. Ma come tutti i sogni, anche quello mussoliniano era destinato a infrangersi. Sarà l’avvento della Seconda guerra mondiale, e la completa impreparazione del regime dal punto di vista militare, ad aprire gli occhi a molti intellettuali e artisti, che fino a quel momento avevano osannato il Duce come condottiero infallibile”.
“Inizia l’inevitabile fase della disillusione, del disincanto ben rappresentata nell’ultima sezione della mostra: “Il male di vivere”. Le tele impressionanti, cupe, che non la¬sciano spazio alla speranza di Sironi, un fascista convinto e fedele tino all’ultimo all’ideale, rappresentano il tramonto di un’era, l’estrema testimonianza di un’inevitabile sconfitta”.