Sono passati dieci anni da quel maledetto luglio del 2001. Dieci anni in cui non si è fatta giustizia e soprattutto non è riusciti a capire bene e a provare come, perché e per volontà di chi si sia arrivati all’inferno della Diaz che secondo Amnesty è la più vasta repressione di massa della storia europea recente.
Ora un libro di Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci, “L’eclisse della democrazia” svela che dopo i fatti di Genova i responsabili della polizia offrirono una specie di accordo ai pm che si occupavano dell’inchiesta: voi non indagate sulle forze dell’ordine e noi lasciamo perdere le indagini sui manifestanti. Un patto scellerato all’interno di una guerriglia condotta contro le indagini e che ci parla si una società arcaica, costruite sopra legami di clan, di casta, di colleganza di corporazione a cui ancora oggi va immolata la verità pubblica. E anche la pubblica degenza
Andrea Camilleri nell’introduzione al volume sostiene una sua tesi: che i fatti di Genova costituirono un tentativo di golpe con una regia tutta politica, un tentativo fortunatamente fallito. Ma probabilmente lo scrittore attribuisce a quei politici che poi sono gli stessi di oggi, una lucidità, una determinazione, ma anche un coraggio che non appartengono loro.
La verità più banale e forse più cinica è che a Genova si vollero sperimentare tecniche di impaurimento e repressione, destinate a trovare i modi per ammutolire la società e “lasciarlo lavorare”. C’erano molte cose da far accettare al Paese, dalla precarizzazione del lavoro, alla deindustrializzazione, alla manomissione delle regole, allo scasso della pubblica amministrazione e alla discesa dei salari. Genova fu l’occasione di colpirne centomila per educarne qualche milione, educarli al silenzio e all’assenso.
Naturalmente sullo sfondo c’era il progetto di svuotare la democrazia, lasciandone intatto il guscio: l’intimidazione si sarebbe saldata in modo sinergico col monopolio mediatico nella sua funzione di persuasore e distrattore non occulto e con i caratteri corporativi e familistici già presenti nella società italiana. Ciò che non funzionò fu proprio l’eccesso della repressione – quando si è cialtroni, lo si è in tutto – che portò Genova alla ribalta mondiale suscitando scandalo e inquietudine. E anche una reazione di ripulsa.
Infatti negli anni successivi la strada è stata sempre quella, ma attuata a piccoli passi, cercando di dividere e di segregare le persone nel loro universo individuale, intimidendo a macchia di leopardo, ora una categoria ora un’altra, ora una professione, ora una presenza in piazza.
Al limite si può parlare di un golpe lungo che, facendo gli scongiuri, si è arenato a causa di nuove esagerazioni nella difesa di un uomo e di un gruppo di potere, collegato a un rapido declino del Paese determinato dall’assenza di idee e di prospettive pressoché totale.
Chissà, a dieci di distanza sarebbe ora di tornare a Genova a testimoniare il fallimento di quelle prove d’ordine e forse a festeggiare la fine dell’incubo.