La letteratura scientifica abbonda di ricerche e studi scientifici sulla qualità esistenziale tra credenti e non credenti. Esiste un dossier su questo sito dove sono state raccolti alcuni di questi studi in ordine cronologico, una piccola selezione comunque. In particolare si è scoperto che la mancanza di fede religiosa è abbinata ad un rischio molto più elevato di suicidio, come ha dimostrato uno studio del 2010 dell’Università di Berna e uno del dipartimento di Psichiatria dell’Università del Manitoba del 2009.
Ma comunque in linea generale, tutte le ricerche di questo tipo confrontano un campione di persone religiose e uno di non religiose e verificano puntualmente che le prime: vivono più a lungo, hanno meno tassi di depressione, miglior salute psicofisica, si autoproclamano più felici, hanno meno probabilità di ammalarsi, recuperano prima e meglio da interventi chirurgici, ecc. Lo ha descritto molto bene la psicoterapeuta Toro su questo sito (cfr. Ultimissima 08/01/12), sottolineando le enormi differenze con l’effetto placebo. Addirittura è stato scoperto che le persone credenti (cristiane, in particolar modo) sono mediamente più razionali e provviste di un’istruzione migliore. Studi ovviamente che lasciano il tempo che trovano per un credente, ma interessano particolarmente a chi, credente, non è. Tuttavia nel novembre scorso è uscita una ricerca che ha scandalizzato diversi opinionisti: negli USA gli atei sono considerati la categoria di persone meno affidabili, addirittura alla pari di ladri e stupratori. Sui quotidiani la reazione è stata immensa come accade sempre quando una minoranza è “sotto attacco”. Ma come per magia, ecco apparire poco tempo dopo uno studio in cui gli atei vengono rappresentati come razionali, e non cinici o senza gioia. Un risultato completamente in controtendenza, ma comunque ben venga! Non si può che essere contenti per loro!
Tuttavia, si insinua un leggero sospetto sull’attendibilità notando come lo studio faccia esplicito riferimento alla ricerca citata poco sopra, quasi come se fosse stato realizzato per rispondere direttamente. E infatti si legge: «Gli atei sono il gruppo con meno fiducia degli Stati Uniti, e gli stereotipi su di essi abbondano». Il dubbio sulla manipolazione dei dati comincia a diventare fastidioso quando si osserva la presenza, tra i quattro ricercatori, di Benjamin Beit-Hallahmi, un vero e proprio militante ateo che ossessiona i lettori del “Guardian” sostenendo frequentemente la superiorità della condizione irreligiosa e l’alta diffusione dell’ateismo tra gli scienziati (sempre citando la solita ricerca del 1990). Una coincidenza davvero incredibile… Purtroppo l’ipotesi che in questo caso abbia prevalso il principio d’autorità e non il metodo scientifico diventa molto forte se si guarda la metodologia utilizzata. I campioni di riferimento utilizzati sono stati: 42 atei, 22 cristiani e 18 buddhisti. E questi sarebbero numeri rappresentativi di una Nazione o ancora peggio, della comunità internazionale??
La strumentalizzazione ideologica della scienza arriva purtroppo anche a questi livelli, come è già accaduto con la promozione dell’omosessualità: su “American Sociological Review” è stato dimostrato che decine di studi sui bambini cresciuti da genitori omosessuali sono stati appositamente male interpretati per ragioni politiche in modo da non attirare le ire degli attivisti omosessuali o incoraggiare la retorica anti-gay.