Magazine Fotografia

Fotografare con gli occhi bagnati

Da Pino Curtale @PinoCurtale

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Da quando ho abbracciato il progetto Shoah dell’amico Domenico Scali, ho avuto come obiettivo primario, il recarmi personalmente in quei luoghi tanto tristemente rinomati per accrescere la voglia di conoscenza di quanto ho sempre letto nei libri di storia, ma non avrei mai immaginato di provare quelle intense emozioni che Domenico stesso mi aveva preannunciato. Lui, che è alla seconda esperienza, un giorno mi disse: “Entrare in quei luoghi e guardare con i propri occhi, è una immedesimazione indescrivibile di quello che accadde in quell’orribile periodo. …..mai dimenticherò ” Diceva bene infatti, Oltrepassati i tornelli di accesso, subito ti trovi difronte a quel cancello maledetto con quella scritta sovrastante che tradotta recita: “Il lavoro rende liberi”, illusione per chi arrivato li era convinto che sarebbe entrato in un luogo di lavoro ma non avrebbe mai immaginato cosa lo aspettasse realmente.

Ti trovi a percorrere i viali delineati dal filo spinato allora elettrificato da ben 360 volts, a scoraggiare chiunque avesse avuto la banale idea di fuggire verso la libertà, e sei spinto ad entrare in quei “blocchi” numerati che avevano ognuno uno scopo ben preciso, come il blocco numero 11 detto anche blocco della morte. Lì venivano rinchiusi i prigionieri politici, specie polacchi, e condannati dopo  processi “proforma” costituiti da solo sentenze e senza difese, a morire o di stenti, di inedia in agonia, o forse i più fortunati all’esecuzione con un solo colpo alla nuca, risparmiandogli così un pò di sofferenza.Si percorrono corridoi poco illuminati e scale con i gradini consumati solo da un lato, principalmente quello del muro chissà perchè, e ti trovi di fronte ad un cancelletto, unico passaggio al cortile delle esecuzioni collettive. Il muro della morte è ancora li, intriso di buchi e di pallottole che ti induce a soffermarti a dire una preghiera, o a deporre un fiore anche semplice o rovinato, e colto magari in un angolo di qualche viale adiacente, sempre se sei fortunato a trovarlo, in quanto ad Auschwitz, anche l’erba si rifiutava di crescere. Nei saloni tutti i reperti recuperati, come montagne di capelli di cui per via del tempo non si distingue più il colore originale, scarpe di ogni genere, e valige di cartone con i nomi dei proprietari ben visibili e indelebili. Più ti addentri in quei saloni e più trovi oggetti ben conservati, attorniato da foto dell’epoca scattate dalle stesse SS come a trofeo di quello che loro orgogliosamente stavano facendo.

Uscito dal blocco, una pioggerellina nebulosa, rendeva  ancor di più surreale l’ambiente ed il luogo in cui mi trovavo. Poi Auschwitz 2 Birkenau, campo esclusivamente di sterminio per quelli che loro consideravano appartenenti alla “razza non pura”. Entrando li ho avuto la sensazione di entrare in un cimitero, un sacrario dove tutto è rimasto così come era in quegli orribili anni, ho avuto qualche difficoltà a scattare le foto in quanto l’emozione faceva sì che la mano fosse un pò tremante mentre contemporaneamente, la guida raccontava gli eventi descrivendo perfettamente quello che io cercavo di immaginare. Scattavo quasi a raffica come se volessi creare una sequenza ben precisa ed immortalare quelle scene perchè convinto che nella mia mente non vi fosse spazio sufficiente ad immagazzinare quello che stavo osservando con l’orrore disgustoso riflesso nei miei occhi bagnati. Una distesa notevole di “baracche” sia di mattoni che di legno delle quali molte non più accessibili o addirittura distrutte con il solo “camino” presente a testimoniarne la presenza in un tempo remoto. Quelle rimaste bastano a farti capire l’immane tragedia consumata in quel posto, li dentro il tempo pare si sia fermato, anche l’odore non è andato via nonostante gli anni. Cammini….Cammini e vedi tutto avvolto in un religioso silenzio tombale,  poi un bosco che sembra non far parte di quella scenografia talmente era bello, ma tra gli alberi e la luce filtrata, intravedi quel che rimane dei forni crematori distrutti e prima costruiti lì, proprio per voler nascondere quella mattanza, nonostante il fumo acre e nero si notasse anche dalle baracche lontane e non presagiva niente di buono a quei poveretti rinchiusi.

Su quelle macerie, dei lumini lasciati come su un ossario in segno di omaggio a quelle vite divenute ceneri. Esco da quel campo dopo aver avuto il permesso di salire sulla torretta dell’ingresso principale, quella da dove si vedevano i vagoni di carichi umani entrare e che sovrastava tutto il campo. Solo da lì ho potuto notare l’immensità di quel posto. Varco l’uscita con il volto tirato e senza un minimo accenno di sorriso neanche verso coloro che mi hanno accompagnato. Tranquillizzato da chi prima di me ha provato le stesse emozioni, il mio sguardo si perde insieme a quel binario ormai fortunatamente “morto”. Esterrefatto come se avessi visto un film dell’orrore, così è stato per me. Poi a completare un percorso prefissato, la visita alla fabbrica di Oskar Schindler, colui che dopo aver conquistato la fiducia dei tedeschi, li ha corrotti comprando 1100 di quelle vite salvandole cosi dal genocidio, e rammaricandosi di non aver potuto fare di più. In quel luogo è stato ricostruito un ambiente virtuale ad hoc che ti fa sentire parte integrante, ascoltando in sottofondo come in lontananza tutti quegli effetti sonori reali più che mai e che ripropongono la vita di allora come l’abbaiare feroce dei cani o il suono sordo e terrificante delle mitragliette attorniato da figure ed immagini tridimensionali tecnicamente perfette ma che ti riconducono tristemente a quanto visto qualche ora prima nei campi di Auschwitz-Birkenau.

Ora torno a casa con una valigia in più colma di tristi emozioni e carico di sensazioni che mai avrei pensato di provare ma che mi spingono ancor di più a contribuire anche con il mio racconto fotografico e insieme a Domenico a completare un domani quello che lui ha iniziato tempo fa.

Portare agli altri la nostra esperienza rimane l’obiettivo principale, con la speranza di trasmettere quanto provato. I tasselli da sistemare sono tantissimi quanti sono gli orrori  perpetrati nei confronti di quegli esseri umani, uomini, donne, bambini e che avevano la sola colpa di essere ebrei.

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