“Nullus locus sine Genio”
“Nessun luogo è senza un Genio”
Servio, commentatore romano, IV sec.
Quella che segue è l’intervista a Marco Sgarbi, giovane architetto appassionato di fotografia i cui scatti hanno un valore molto chiaro, un punto di forza ben definito: hanno voluto e saputo cogliere lo spirito di un luogo.
Sto parlando del così detto genius loci, termine che nella religione romana simboleggiava il nume, l’entità soprannaturale legata a un luogo.
L’espressione è diventata, in tempi recenti, molto ricorrente nel linguaggio comune ma soprattutto in architettura, dove indica un certo approccio allo studio di un ambiente, basato sulla conoscenza di tutte le sue caratteristiche storiche, identitarie, culturali e fisiche.
Insomma, l’architetto progetta l’abitare e per abitare un luogo è necessario identificarsi in esso, capire il suo significato. E Marco ha voluto spingersi oltre la progettazione di uno spazio abitativo, ha deciso di immortalare nelle sue fotografie questo spirito soprannaturale.
Il nostro ospite conosce molto bene l’ambiente delle colline toscane, tra le quali ha vissuto a lungo in compagnia delle sue pecore e dei suoi cani da pastore.
Nelle sue foto è rappresentata tutta la semplicità della vita contadina, a contatto con la terra e i suoi frutti, ma anche la potenza di una natura a volte oscura. Una natura a cui guardare con riverenza e un po’ di timore.
In tutte le sue fotografie si contrappongono spesso la luce e il buio, il giorno e la notte, il bene e il male. Non è semplice riuscire a rappresentare questi contrasti disponendo solo di una macchina fotografica, è richiesta una grande sensibilità per riuscirci.
Ma c’è anche un altro significato nel suo lavoro. Marco ha, infatti, vissuto per un certo tempo della sua vita l’esperienza di diventare pastore, per scelta. Sull’onda di una crisi di coscienza ha lasciato, quindi, la città e il suo lavoro per ritirarsi in collina, per vivere una vita che avvertiva come più piena e completa.
Per questo motivo, probabilmente, le sue immagini sono così fortemente comunicative di un sentimento intimo, interiore e personale: una rivoluzione dell’anima concretizzatasi in un progetto fotografico compiuto.
Ciao Marco, grazie per avere accettato di scambiare quattro chiacchiere con noi. Vuoi raccontarci, prima di tutto, quando e come è nato il tuo interesse per la fotografia?
Ciao Eleonora! Per me è un piacere e un onore. L’interesse per la fotografia è nato quando ero bambino. Penso che sia una passione che va di pari passo con la curiosità e la meraviglia che trovo nel mondo. Anzi più che una passione si tratta di una necessità: lo faccio per me stesso.
Non posso nasconderti che il vero motivo di questa intervista sta nel fatto che adoro la serie dei tuoi scatti dedicata alla vita in campagna! Pecore, pastori maremmani, tronchi ricoperti di muschio e pulcini appena schiusi, ma anche tanti selvatici: compongono un portfolio dal tema molto ben definito.
Vuoi raccontarci qualcosa sui tuoi soggetti? Qual è l’argomento scelto?
In realtà non ho scelto alcun tema. Tutto ciò che ho fotografato e che puoi vedere rappresentato nei miei scatti era quello che considero il mio “ufficio”: ho fatto il pastore fino a pochi mesi fa e ho avuto la fortuna di poter fotografare quello che mi circondava.
È un mondo che sta scomparendo, fatto di fatica ma anche di grandissime soddisfazioni in un ambiente quasi incontaminato.
Mi sono dedicato alla produzione di pecorini a latte crudo e ogni giorno portavo a pascolare 250 pecore, in compagnia dei miei cinque maremmani, attraverso pascoli stupendi. Tutto questo nella suggestiva cornice toscana delle colline metallifere.
Qui c’è un genius loci potente: i monumenti e le rovine antiche, le colline modellate dall’uomo in millenni di storia dell’agricoltura, tutto questo fa parte di questo luogo.
Qui sai dove sei. Subito. E io adoro i Luoghi.
Qualcosa che si nota subito non appena si guardano le tue foto è l’uso incredibile della luce, che filtra tra le nuvole irradiando la campagna, le greggi, il pelo bianco dei tuoi cani. Vuoi dirci come usi la luce per ottenere questi splendidi contrasti e controluce?
La luce m’ ispira. Tuttavia, per me una giornata di Sole senza una nuvola è una pessima giornata. Adoro i temporali e le giornate nebbiose. E poi, sempre grazie al mio lavoro, potevo godermi ogni alba e ogni tramonto: quando la luce arriva di taglio disegna le forme.
Ma io amo anche i colori freddi della nebbia e i boschi nebbiosi: tutto questo è presente nelle mie fotografie.
Che tipo di attrezzatura fotografica usi?
Ho una Canon 5d markII. Per ora ho due obiettivi. Un 17-40 e un 70-300. Io uso la macchina senza riguardo e infatti ho rotto varie lenti.
Post-produci le tue fotografie? Se sì, che tipo di regolazioni fai?
Scatto in raw. E in camera raw posso fare diverse regolazioni. Tipo esaltare un colore in particolare o schiarire delle ombre. Trovo che la 5d saturi troppo alcuni colori, soprattutto i colori caldi. Quindi in camera raw è possibile anche desaturare alcune tonalità. Per il resto non stravolgo la foto.
Nelle tue fotografie è ben evidente la forte ispirazione che ti accompagna, nel momento in cui decidi di fare click sul pulsante di scatto. Ma ti definiresti più un fotografo “di pancia” oppure c’è uno studio dietro i tuoi scatti? In altre parole: prepari le tue fotografie in qualche modo?
Di pancia assolutamente. Mai fatto uno studio o preparato una foto. Però non sono mai uscito senza macchina fotografica. Le foto le vado a cercare.
Un’altra cosa interessante nei tuoi scatti sono i colori: molto drammatici, un po’ dark, quasi “cinematografici”. C’è un motivo per cui sono così e come li ottieni?
Sembrerà banale ma, semplicemente, sottoespongo. Mi piace il lato oscuro della natura, vorrei trasmettere una sorta di timore. Quel timore reverenziale che sarebbe utile all’uomo di questo secolo nei confronti della natura.
So che prima facevi l’architetto. Perché hai abbandonato tutto?
In realtà, non ho abbandonato niente. Però ho scoperto e imparato tantissimo da quando non lavoro più in un ufficio, non era un lavoro adatto a me. Oltre a essere noioso e sedentario mi creava problemi morali.
Da qualche tempo, sono comparsi sul tuo streaming diversi reportage di viaggio: India, Marocco, Vietnam… Insomma, giri parecchio: per te dov’è “casa”?
Bella domanda: è per quello che giro parecchio. La sto cercando.
Quale differenza noti tra lo scattare fotografie a un passo da casa e la fotografia che fai quando sei in viaggio?
Anche questa è una bellissima domanda! Quando sono lontano da casa divento più curioso. Sono affascinato da tutto quello che mi circonda a livello quasi maniacale, è come se il cervello si attivasse e anche la lingua non è più una barriera insuperabile.
In Italia non ho la stessa curiosità e questo credo sia un limite: sarebbe bello se riuscissimo a stupirci di tutto e, soprattutto, se fossimo capaci di farlo ovunque.
Ci dici il nome di un fotografo che ti piace?
Salgado. Per la sua fotografia e per la sua umanità.
Mi piacerebbe salutarti con la domanda da un milione di dollari. Qual è, secondo te, la cosa più importante per ottenere foto d’impatto?
La fotografia non è come la pittura in cui serve davvero un talento. In fotografia, forse, basta solo saper guardare.
Io ti parlo così, ma non mi considero un fotografo professionista. Non ho mai preso un euro per le mie foto. Le scatto per necessità personale.
Però, quando qualcuno apprezza le mie fotografie ho la sensazione di aver guardato nella giusta direzione.
Tutte le fotografie di questo articolo sono di Marco Sgarbi, ogni diritto appartiene all’autore.
Conclusione
Quali ispirazioni possiamo trarre dalla fotografia di Marco? Beh, io credo che i suoi lavori ci insegnano, soprattutto, che per immortalare un luogo bisogna prima amarlo. E per amarlo dobbiamo capirlo, essere riusciti a dialogare con il genius, a stabilire un contatto con il suo “nume tutelare”.
Esiste, per te, un luogo speciale al quale vorresti dedicare o hai già dedicato un reportage o un progetto fotografico? Credi che riusciresti a cogliere il suo spirito? Se ti va, parlacene nei commenti.