Dopo anni di bigotta preclusione contro la fotografia amatoriale al Louvre si sono dovuti arrendere alla rivoluzione digitale dei telefonini e digital cameras che, sprezzante dei divieti, immortalava le immortali e notissime fattezze della Gioconda, per la gioia di amici e parenti. Questo accadeva alla fine degli anni Novanta del secolo scorso nella patria dell’elitarismo radical chic, la Francia, ma in molte parti d’Italia il divieto ottuso e controproducente di fotografare nei musei, in contrasto con il resto d’Europa e più o meno del resto del mondo, persiste. Per esempio in Veneto.
In generale le motivazioni vanno dal ridicolo all’arbitrario e dipendono strettamente dalla dirigenza, cioè direttore del museo e sovrintendenza. Qualche decennio fa, al Museo Nazionale di Altino (VE), io e Flavia e un amico archeologo andammo a visitare le collezioni. Una mostra permanente che era pubblicizzata da un poster su cui era ritratta una testa femminile di epoca romana, esposta nella prima sala. Sapendo che i musei nazionali, in teoria, avrebbero dovuto non avere divieto di fotografare, ci accingevamo a fotografare al suddetta testa e anche il resto, quando il guardiano si oppose con energia, sostenendo che non potevamo farlo, che nessuno poteva fotografarla. Al nostro accenno al fatto che la testa era già sul poster, il tapino dichiarò che la ragione vera era che la direttrice non aveva ancora pubblicato su quella testa. Al che noi due sorelle opponemmo il fatto che una funzionaria statale stava facendo un uso privatistico di beni pubblici, impedendo il libero accesso alla cultura, e che era una pessima pubblicità al museo anche per i turisti. Infatti, pur essendo una bella domenica estiva al momento al museo c’eravamo solo noi. Oltre al fatto che non c’era il catalogo, esaurito da anni. Essendo un ex carabiniere, uso ad obbedir tacendo, il custode fu irremovibile, e così ce ne andammo, anche perché l’amico archeologo, tremebondo di rappresaglie della sovrintendenza, sudava e piagnucolava. Però proprio di fronte al museo c’era lo scavo di una strada romana, di cui si vedeva un buon pezzo di ciottolato, cintato da una siepe. Dato che il piano stradale era più alto dello scavo e della recinzione, ci scatenammo a fare foto, se non altro per ripicca. Il custode del museo schizzò fuori gridando che era proibito fotografare anche quello. Lo deridemmo invitandolo a fare crescere in fretta la siepe, se voleva, dato che eravamo sulla pubblica via e la vista dello scavo esposta alla pubblica fede. E minacciammo di denunciare lui e la sua preziosa direttrice di appropriazione indebita d’immagine. L’uomo si eclissò.
In tutto questo tempo è cambiato qualcosa? La mia esperienza a Treviso qualche mese fa farebbe dire di no. (segue)