PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, mostra Rise and Fall of Apartheid – Eli Weinberg, Folla vicino alla Drill Hall
FOTOGRAFIA Milano – PAC Padiglione d’Arte Contemporanea – mostra Rise and Fall of Apartheid – di Roberto Mutti per Milano Arte Expo - L’imponente Rise and Fall of Apartheid: Photography and the Bureaucracy of Everyday Life esposta al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano fino al 15 settembre (via Palestro 14 > MAPPA. Aperta da martedì a domenica 9.30-19.30 giovedì 9.30-22.30 ingresso 8 Euro) è una di quelle mostre che fa molto pensare perché la ricchezza dei materiali esposti non parla soltanto della storia ma anche del modo con cui è stata raccontata. Il primo aspetto è quello più visibile ed importante perché racconta di come nel 1948 in un momento in cui l’Europa e il mondo intero riflettevano criticamente di un recente passato caratterizzato dal razzismo, dall’antisemitismo, dalle persecuzioni delle minoranze, in Sud Africa l’Afrikaner National Party vinceva inaspettatamente le elezioni e si impossessava rapidamente dei pieni poteri. Era questo il partito dei boeri, la minoranza bianca di origine olandese e di religione protestante che aveva colonizzato nel 1600 il Paese e che ora conservava un’ideologia che nel fascismo aveva visto un modello ora pienamente imitato e, se si può dire, perfino migliorato nei suoi aspetti più odiosi legatto a un dichiarato razzismo. >
In breve tempo una nuova costituzione sanciva la divisione fra una minoranza bianca che non solo deteneva il potere, ma si appropriava delle terre e delle ricchezze del paese, costringendo la maggioranza nera a vivere nelle township delle grandi città in condizioni di degrado e a frequentare scuole dotate di poche risorse evitando così di far crescene una nuova classe dirigente nera. Nasce così il termine Apartheid come somma di heid (quartiere) e apart (isolato) a indicare un sistema basato sull’ingiustizia, la disuguaglianza e, quando occorse, la repressione. Solo dopo lunghe lotte dapprima pacifiche e poi anche sanguinose l’apartheid fu cancellato: era il 26 aprile 1994 ma quella data non significa la totale cancellazione della barbarie perché i danni provocati da quasi cinquant’anni di ingiustizie sono ancora adesso alla base della profonda instabilità di un paese che ancor oggi prevede l’esistenza delle township, i quartieri-ghetto, la violenza quasi tangibile, la diffusione abnorme dell’Aids.
Perché in effetti l’apartheid non fu soltanto repressione feroce ma anche, e forse soprattutto, creazione di un modo di vivere quotidiano, di un senso comune, di una quotidianità cui era difficile opporsi. I neri, per esempio, quando si muovevano anche per brevi tratti di strada dovevano avere sempre un lasciapassare che ne favoriva l’immediata identificazione. In mostra ce n’è un solo esempio perché, come ben illustra una fotografia posta all’ingresso, per protesta molti neri questi documenti li diedero alle fiamme come gesto di disobbedienza collettiva.
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, mostra Rise and Fall of Apartheid – Peter Magubane, Funerali a Sharpeville
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Sebbene le cinquecento fotografie presentate in ordine cronologico raccontino molto bene le vicende storiche di quegli anni passando dalla documentazione delle danze cui venivano costretti i minatori prima delle ispezioni corporali a quella degli scontri a fuoco fra i militanti del partito di Nelson Mandela e le cosiddette forse dell’ordine, altrettanto interessanti sono i molti documenti raccolti nelle bacheche. Fra questi spiccano, anche perché sono accostati in un voluto confronto, le due più importanti riviste illustrate del tempo. Se “South Africa Panorama” era la rivista di regime, come si evince dall’estetica rassicurante che la caratterizzava, “Drum” era invece il mensile forse meno accurato dal punto di vista estetico ma decisamente importante da quello giornalistico. E’ proprio intorno a questa pubblicazione che nasce una vera e propria scuola fotografica di reportage che ruotava attorno alla figura di Jurgen Shadeberg, un tedesco che da molti anni si era trasferito in Sud Africa. Sarà lui a trasformare un gruppo di giovani in formidabili reporter come Eli Weinberg, Leo Levson ma soprattutto Peter Magubane e Alf Kumalo dei qauli sono presentati pregevoli lavori in un bel bianconero. Già, perché, nella sua immediatezza, fu proprio la fotografia il mezzo più adatto a riprendere la realtà e il più efficace a combatterla. Perché, non dimentichiamolo, moltissimi allora come oggi erano parzialmente o totalmente analfabeti e il linguaggio delle immagini continua ad esser un mezzodi comunicazione da sfruttare con intelligenza.
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, mostra Rise and Fall of Apartheid – Alf Khumalo, il Sud Africa a processo
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Curata da Okwui Enwezor, ideata dall’ International Center of Photography di New York e coprodotta dal Comune di Milano, PAC Padiglione d’Arte Contemporanea e Civita, la mostra Rise and Fall of Apartheid: Photography and the Bureaucracy of Everyday Life prevede anche video, pregevolissime opere grafiche, documenti, libri e riviste. Visitare la mostra è una vera, lunga avventura perché sono possibili diversi livelli di lettura come quello antropologico. Da questo punto di vista risulta molto interessante mettere a confronto le fotografie realizzate negli anni Trenta dall’irlandese Duggan-Cronin che riprendeva i Bantu con la freddezza dell’etnografo, i reportage scattati negli anni Cinquanta da Margareth Bourke-White e le immagini di reportage che dal 1948 cominciano a codificare la nascita, attorno alla citata rivista “Drum”, di una vera e propria scuola fotografica realizzata da africani.
Infine, questa mostra potrebbe essere usata come luogo di educazione e conoscenza: pensate che bello se i tanti Calderoli grandi e piccoli che ci volteggiano fastidiosamente attorno fossero costretti a una istruttiva visita. Sarebbe una giusta pena e qualcosa forse potrebbero imparare. Se non altro a stare zitti.
Roberto Mutti
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Mostre di fotografia a Milano:
RISE AND FALL OF APARTHEID PHOTOGRAPHY AND THE BUREAUCRACY OF EVERYDAY LIFE
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea
a cura di Okwui Enwezor
9 luglio – 15 settembre 2013
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea - Via Palestro 14, Milano
ORARI della mostra: martedì, mercoledì, venerdì, sabato, domenica ore 9.30 – 19.30 - giovedì ore 9.30 – 22.30 - lunedì chiuso
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Roberto Mutti, critico fotografico e curatore, è membro del comitato Scientifico dei MIA Milan Image Art Fair. Ha scritto per svariate testate di settore come “Fotografare”, “Photo”, “Gente di fotografia”, “Il fotografo”, “Fotographia”, “la Clessidra” e “Immagini Fotopratica”, che ha anche diretto dal 1998 al 2005. Mutti è critico fotografico per la Repubblica. Ha insegnato storia e linguaggio fotografico all’Università dell’immagine, alla Open Mind School, all’Istituto Superiore di Architettura e Design e l’Istituto Europeo di Design. Roberto Mutti è docente, attualmente, all’Accademia del Teatro alla Scala e l’Istituto Italiano di Fotografia. Come organizzatore ha collaborato con vari festival – fra i quali Savignano Immagini e Foiano Fotografia di cui è stato per sette anni direttore artistico – con istituzioni come la Fondazione 3M e con diverse gallerie private. E’ nel comitato direttivo della rassegna PhotoFestival a Milano. Autore della prima “Guida ragionata al mondo della fotografia italiana ed europea” pubblicata in Europa, ha firmato oltre duecento libri fra saggi, cataloghi e monografie. Nel 2000 Roberto Mutti ha vinto il Premio Città di Benevento e nel 2007 il Premio “Giuseppe Turroni” per la critica fotografica.
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MAE Milano Arte Expo [email protected] ringrazia Roberto Mutti per la recensione della mostra di fotografia al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano dal titolo STORIA DELL’APARTHEID - RISE AND FALL OF APARTHEID PHOTOGRAPHY AND THE BUREAUCRACY OF EVERYDAY LIFE.
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