Riparte in questi giorni, e ormai è una ricorrenza: periodicamente la mitica agenzia Magnum, quella che tra i suoi padri annovera Capa e Cartier-Bresson, mette in vendita tramite il suo sito internet stampe fotografiche autografate dai suoi autori a 100 dollari, 90 euro circa.
Per quella cifra chiunque, collezionista e semplice appassionato, può possedere – e sottolineo la parola possedere – un’opera firmata di Elliott Erwitt, Steve McCurry, Depardon, Le Querrec, Barbey e via elencando la scuderia dei fotografi di razza che formano questa cooperativa.
Dichiaro subito, per essere chiaro, che al primo giro di questa iniziativa anch’io ho fatto la mia piccola scorta.
Ma perché un brand così blasonato e storico si mette a “svendere” ripetutamente stampe autografe che, per quando di formato piuttosto ridotto, s’immagina dovrebbero avere un valore di mercato maggiore?
La risposta è semplice: la Magnum – anche la Magnum – ha bisogno di soldi.
La situazione generale del mercato fotogiornalistico è nota, le agenzie e i fotografi (con qualche rara eccezione) arrancano, spesso chiudono: si pensi all’italiana Grazia Neri, che ha cessato l’attività pur essendo (o forse proprio per questo) la più grande agenzia fotografica italiana.
Un’iniziativa che rompe forse un tabù e dunque coraggiosa quella di Magnum, che però può essere vista e giudicata in due modi contrapposti a seconda del punto di vista: bottiglia mezza piena o mezza vuota?
Ma sì – Ammirevoli i nostri. Fotografi affermati, famosi e invidiati, uniti in un collettivo che condivide gioie e dolori, si mettono in gioco e accettano di fare “volontariato” per salvare le sorti non solo della loro agenzia (che è anche una casa, una moglie, una fede) ma di un pezzo di storia. Simbolicamente, se crollasse Magnum, il pessimismo tipico della categoria rischierebbe di diventare cosmico e irreversibile.
E “quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare”, dunque non autolesionismo e cedimento ma reazione attiva con ricadute “socialmente utili”: offrire a tutti la possibilità di iniziare a sentirsi collezionisti, e chissà, poi magari ci si prende gusto.
Insomma, non svendita ma “divulgazione” a fin di bene: proprio e altrui.
Ma no – Brutta bestia la paura, fa fare cose che mai uno si sarebbe sognato di fare.
Notoriamente i fotografi di Magnum si accapigliano (da sempre) su molte decisioni, di cui poi devono condividere oneri e onori. Ma in questo caso possibile che nessuno si sia dissociato?
Ce lo vedete il quasi novantenne Elliott Erwitt a dover firmare in un colpo solo migliaia di foto da spedire in tutto il mondo ad altrettanti sconosciuti?
Fosse stata una tantum poteva essere anche vista come una sana provocazione e un’operazione mediatica per attirare attenzione sul problema della deriva economica del fotogiornalismo, problema che in fin dei conti riguarda tutti quelli i cui occhi s’imbattono in una fotografia che può spostare in alto o in basso la qualità dell’informazione, poco importa se su carta o sul web.
Ma l’ondata di foto Magnum a cento dollari va ripetendosi spesso, dunque l’aspetto che prevale è quello di sembrare una mera necessità, senza tante implicazioni e ragionamenti altri.
Non prendo posizione, o le prendo entrambe. Lascio a ciascuno la sua visione.
Ho simpatia e ammirazione per la Magnum, in qualche misura anch’io ipnotizzato dal suo mito. Ho anch’io molta preoccupazione per un mercato che si è sgretolato e per la qualità che esiste nell’offerta ma non nella domanda. Sono anch’io stretto tra orgoglio e paura, tra cuore e stomaco.
Che poi, alla fine, la domanda non è tanto se c’è ancora spazio per la Magnum o per il “modello Magnum”, ma piuttosto se c’è ancora spazio per quello che ha rappresentato e rappresenta: una fotografia alta, consapevole, onesta e capace d’informare. Una grande finestra sul mondo con i vetri ben puliti.
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