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Fotosintesi alternative: la Vespa orientale e la xantopterina

Creato il 06 gennaio 2011 da Gifh

Fotosintesi alternative: la Vespa orientale e la xantopterinaPassatemi l’incipit fin troppo stereotipato di questi tempi, ma la recente e controversa rivelazione della NASA sulla biochimica all’arsenico di certi batteri,  impone una straordinaria cautela nel trattare argomenti che infrangono il limite delle conoscenze ormai date per assodate. Fin dalle scuole dell’obbligo ci insegnano che la fotosintesi è un processo biologico veicolato dalla luce del sole allo scopo di sostenere la vita vegetale. Sebbene alcuni dei passaggi della fotosintesi non siano ancora stati del tutto chiariti o esplorati, il quadro complessivo del sistema biochimico è ben noto fin dal 19° secolo.

Possiamo pertanto accettare con sincera flessibilità la scoperta di una nuova variante della clorofilla in grado di utilizzare la parte infrarossa dello spettro elettromagnetico, possiamo stupirci con razionalità quando si presentano curiose simbiosi tra cianobatteri e specie animali che ne traggono qualche vantaggio, come i coralli, le spugne e le anemoni marine, perfino le salamandre possono vantare un caso!

Come si reagisce invece alla notizia che un tipo di vespide monta sul suo posteriore un paio di sfavillanti pannelli solari gialli in grado di assicurare il necessario supporto energetico durante le frenetiche e incessanti attività edili diurne?

Fotosintesi alternative: la Vespa orientale e la xantopterina

Vaucheria litorea, una ghiottoneria per l'Elysia chlorotica! Image credit: Nicholas E. Curtis and Ray Martinez, University of South Florida

Tra i molluschi ha riscosso un certo clamore la recente notizia sulla proficua relazione simbiotica dei cloroplasti assimilati cibandosi di alghe. Le lumache marine del genere Elysia infatti, dopo un buon pasto a base Vaucheria litorea e affini, diventano verdi e sfruttando la fotosintesi riescono a digiunare fino a dieci mesi, come ci racconta con dovizia di particolari l’orologiaio miope.

Altrove, nelle lande desolate del medio oriente, in Madagascar e nel sud est europeo (Italia meridionale compresa), l’infaticabile casta delle operaie appartenenti alla specie Vespa orientalis, è da tempo oggetto di studi approfonditi a causa di quella loro strana attitudine a lavorare nelle ore più soleggiate della giornata, a differenza di altre specie simili che preferiscono la frescura del mattino, come notò una ventina di anni fa l’ormai emerito professore Jacob Ishay dell’Università di Tel Aviv.

Le sue ricerche vertevano su un pigmento contenuto nelle fasce gialle della parte addominale della cuticola dell’insetto. Nelle sue prime osservazioni Ishay scoprì che irradiando di luce i corpi delle vespe vive, anestetizzate o anche morte, si producevano tensioni dell’ordine di qualche centinaio di millivolt dai materiali che compongono l’esoscheletro, il che suggeriva la probabile presenza di un semiconduttore organico in grado di convertire la luce in elettricità. Infatti, un test successivo provò che le vespe anestetizzate si risvegliavano prima se esposte alla luce ultravioletta, come se la luce ricaricasse opportunamente le “batterie” dei malcapitati insetti.

Fotosintesi alternative: la Vespa orientale e la xantopterina

Microstrutture della cuticola nelle zone gialle e brune dell'addome della Vespa orientalis. Imagecredit: referenced Naturwissenschaften paper by M. Plotkin et al.

La congettura che emergeva, prendeva in seria considerazione l’eventualità che l’attribuzione di questo fenomeno fosse a carico di un pigmento contenuto nella cuticola, la xantopterina, ma il meccanismo rimase a lungo incompreso lasciando adito a concreti dubbi.

La xantopterina (dal greco xanthós, giallo e pterón, ala), o 2-Amino-4,6-diidrossipteridina è un solido cristallino giallo, che si trova nelle ali di alcune farfalle, nelle urine dei mammiferi e nelle iridi gialle dei gufi e di altri uccelli notturni. Appartiene alla famiglia delle pteridine, una classe di composti aromatici eterociclici azotati che derivano essenzialmente dalla fusione di un anello di pirimidina e uno di pirazina, e posseggono molteplici e importanti funzionalità biologiche.

Nelle vespe questo pigmento è contenuto nelle fasce gialle addominali, all’interno di granuli a forma ovale, visibili con il microscopio a forza atomica come piccole sporgenze interconnesse con numerosi “pori” superficiali che culminano i rilievi. Le zone brune  consistono invece in una schiera di piccole creste intervallate da solchi con dislivelli di circa 160 nanometri e distanti fra loro circa 500 nm.

Come descrivono nel loro paper su Naturwissenschaften, Marian Plotkin e il suo team, che proseguono le ricerche iniziate da Ishay, entrambe queste serie di microstrutture rendono la cuticola un materiale con proprietà antiriflettenti per gran parte dello spettro del visibile, assorbe infatti circa il 5% in più di una superficie della stessa natura, ma piana. Nello strato interno della cuticola, si trovano impilati “fogli” di chitina, un biopolimero naturale rigido, che migliorano ulteriormente la capacità del esoscheletro di intrappolare la luce.

Fotosintesi alternative: la Vespa orientale e la xantopterina

Elettrodo di biossido di titanio mesoporoso dopo l'immersione in una soluzione di xantopterina. Imagecredit: referenced Naturwissenschaften paper by M. Plotkin et al.

I ricercatori sono riusciti a dimostrare che una cella solare a pigmento fotosensibile (dye-sensitized solar cell – DSSC) a base di xantopterina è in grado di funzionare con un efficienza di conversione dello 0,335%, che sebbene sembri minima, è significativa per un primo risultato. Per confronto le efficienze della fotosintesi  vegetale variano dallo 0,1 al 6%, con punte che toccano l’8% nel caso della canna da zucchero.

Come Plotkin ha dichiarato alla BBC, “Partiamo dal presupposto che una parte dell’energia si trasformi grazie a un processo foto-biochimico in grado di sostentare le vespe con l’energia ricavata per le esigenti attività di scavo”. Una piccola spintarella  in più a gratis dai raggi di sole, insomma.

La dimostrazione dell’efficacia di un sistema fotochimico basato sul pigmento delle vespe e la microstruttura superficiale del loro addome particolarmente adatta a evitare la dispersione, quasi un collettore solare, costituiscono due indizi importanti per approfondire l’esistenza di un sistema fotosintetico animale e renderlo meno fantascientifico.

Il professor David Bergman aggiunge che nel corpo delle vespe si è evoluto un complesso sistema di pompe di calore che garantisce l’espulsione del calore in eccesso, mantenendo i loro corpi ad una temperatura inferiore rispetto all’esterno, durante l’assorbimento della radiazione solare.

Ulteriori approfondimenti sui meccanismi che regolano l’assorbimento e la conversione della luce in questi artropodi, congiunti con l’implementazione delle tecniche di biomimetica applicata, potrebbero suggerire nuovi e importanti indizi per soluzioni inedite nel campo delle energie rinnovabili del prossimo futuro, oltre a confermare l’effettiva esistenza di una insospettabile nuova forma di fotosintesi animale.

Se penso alle anguille elettriche, alle murene, alle lucciole e perfino alle rane di Galvani, mi viene un po’ meno difficile crederci …

Riferimenti:

Plotkin, M., Hod, I., Zaban, A., Boden, S., Bagnall, D., Galushko, D., & Bergman, D. (2010). Solar energy harvesting in the epicuticle of the oriental hornet (Vespa orientalis) Naturwissenschaften, 97 (12), 1067-1076 DOI: 10.1007/s00114-010-0728-1

Una copia accessibile del documento è disponibile su Discovery.


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