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Fra teoria delle stringhe e loop quantum gravity

Creato il 21 febbraio 2011 da Stukhtra

Problemi scientifici ma anche… sociologici

di Marco Cagnotti

Mia moglie mi dice che, dopo aver conosciuto me, ha scoperto che i fisici sono una specie con tante varietà: fisici teorici, fisici sperimentali, fisici delle particelle e fisici nucleari, astrofisici e fisici dello stato solido… E queste varietà possono anche mescolarsi: si può essere fisici teorici dello stato solido e fisici sperimentali nucleari, e perfino astrofisici delle particelle. Gente strana, comunque. Nella nostra indagine etologica su questa specie bizzarra e multiforme, stavolta abbiamo incontrato Mauro Carfora, originario di Roma ma ora professore di Relatività Generale presso l’Università di Pavia.

Fra teoria delle stringhe e loop quantum gravity

In vacanza? In giro per congressi? Comunque in un gran bel posto, si direbbe. (Cortesia: M. Carfora)

Mauro, fra le innumerevoli varietà dei fisici, tu che cosa sei?

Io sono un fisico matematico.

E ti occupi di…?

Di quantum gravity, di cosmologia relativistica e di quella cosa chiamata landscaping: problemi matematici in teoria quantistica dei campi.

D’accordo. Parliamo allora della quantum gravity: che cos’è?

La quantum gravity non esiste.

Non esiste?

No.

Ma come sarebbe a dire, scusa? Tu ti occupi di una cosa… che non esiste?

Sarebbe a dire che non c’è una teoria soddisfacente della gravità quantistica. Ci sono varie alternative, però. Una è la teoria delle stringhe, la più gettonata dalla maggior parte dei fisici teorici. Poi c’è la loop quantum gravity, che è minoritaria ma ha mantenuto una sua massa critica. C’è anche tutta una serie di altri approcci alternativi minoritari, ma i due filoni mainstream sono quelli: stringhe e loop quantum gravity.

E a quale esigenza rispondono?

La quantum gravity è il tentativo di conciliare la teoria quantistica dei campi con la relatività generale. Cioè l’idea che lo spaziotempo è dinamico e c’è la necessità di quantizzarlo quando si va a energie molto elevate, non realizzabili nei laboratori ma raggiunte nei primi istanti di vita dell’universo.

Per quale motivo è così difficile conciliare la teoria quantistica dei campi con la relatività generale?

Il motivo di fondo è abbastanza semplice da spiegare. Si potrebbe pensare che ci sia delle difficoltà tecniche, e di fatto sono presenti anche quelle. Ma la ragione è più profonda. Con la relatività generale, Einstein ci ha insegnato che, sebbene noi sperimentiamo il campo gravitazionale come una forza, in realtà il modello matematico che lo descrive è un’estensione del concetto di inerzia. D’altra parte la meccanica quantistica ci dice che le azioni fra le varie particelle sono mediate da campi di forza, che sono poi quelli che si quantizzano. E le interazioni sono descritte dallo scambio di particelle. Ora, se il campo gravitazionale non è una forza, è difficile quantizzarlo con le tecniche usuali.

Sì, ma c’è il gravitone. Non è forse la particella corrispondente al campo gravitazionale?

Attenzione, perché qui c’è il rischio di un abuso della parola. I quanti di un campo, che siano fotoni o gravitoni, hanno diritto di cittadinanza nelle teorie lineari. E con la relatività generale questo funziona in regimi di campo debole. In quel caso la relatività generale è descritta in buona approssimazione da una teoria lineare, cioè una teoria di campo in uno spaziotempo piatto. Questa teoria si lascia formalmente quantizzare. Perciò, in qualche maniera, è lecito parlare di gravitone. Però nell’ambito degli approcci più strettamente legati alla relatività generale è un abuso se non viene interpretato nei termini corretti. Però è un abuso entrato nella consuetudine: fra colleghi ci si intende su ciò che si vuole dire.

Ci hai detto che, nel tentativo di conciliare meccanica quantistica e relatività generale, la teoria delle stringhe va per la maggiore. Perché è così promettente?

Per tanti motivi. Anzitutto diciamo però che è un tentativo solo parzialmente riuscito, per difficoltà tecniche e interpretative. La teoria delle stringhe non è una teoria quantistica dei campi, perché ne estende i concetti fondamentali e contiene in sé i germi di parecchie idee molto interessanti. L’osservazione fondamentale è che una stringa è un oggetto esteso, aperta o chiusa che sia. E quantizzare gli oggetti estesi, non puntiformi, è estremamente complicato. Perciò chi sostiene di aver capito davvero la teoria delle stringhe dice una scemenza al quadrato.

Questo mi ricorda la famosa citazione di Feynman:

Ci fu un tempo in cui i giornali dicevano che solo dodici persone capivano la teoria della relatività. Io non credo che questo tempo sia mai esistito. Ci può essere stato un momento in cui solo un uomo la capiva, perché egli era il solo uomo che ci aveva pensato, prima di scriverne. Ma, dopo la lettura del suo lavoro, molte persone capirono la teoria della relatività, in un modo o in un altro, e certamente più di dodici. Invece io penso di poter affermare con sicurezza che nessuno capisce la meccanica quantistica.

E se lo diceva Feynman…

(Ride.) Già. Nell’approccio più elementare alla teoria delle stringhe, nei rudimenti della teoria, emerge che lo spettro delle eccitazioni di queste stringhe contiene, fra le altre cose, anche il gravitone: c’è un’eccitazione con le caratteristiche di un’eccitazione gravitazionale in una teoria linearizzata. Ora, la teoria delle stringhe non è una figlia diretta della teoria einsteiniana…

Peccato.

Esatto. La teoria delle stringhe è costituita su basi che possono non piacere a chi è rimasto fortemente colpito dalla bellezza della relatività generale. Quindi in effetti perdiamo qualcosa in termini di eleganza. Tuttavia, quando entriamo nella quantizzazione della teoria, scopriamo che questo debito paga ottimi dividendi, perché il risultato è una teoria molto ricca da un punto di vista matematico.

Come può una teoria essere “ricca da un punto di vista matematico”?

La teoria delle stringhe propone metodologie che hanno fornito scorciatoie impensate e preziose nella risoluzione di problemi matematici difficilissimi. Pensa che alcune Medaglie Fields sono state attribuite a matematici che hanno risolto problemi matematici fondamentali… con tecniche ispirate dalla teoria delle stringhe. Penso ai problemi nell’ambito delle superfici di Riemann, per esempio. Oppure al legame fra la teoria delle stringhe e il flusso di Ricci, che ha portato alla Medaglia Fields di Grigori Perelman, da lui rifiutata. E’ una tecnica introdotta negli Anni Ottanta in matematica da Richard Hamilton e contemporaneamente in fisica, nella teoria delle stringhe, da Alexander Polyakov e Daniel Friedan. Edward Witten, il guru della teoria delle stringhe, è lui stesso una Medaglia Fields ed è la persona che più di ogni altra ha saputo promuovere queste nuove idee e gettare luce su problemi assolutamente non banali.

Ma quando parliamo di stringhe… di che cosa diavolo parliamo? Voglio dire: sono stringhe fatte di… di che cosa?

Questa domanda è sbagliata. Potrei riproportela chiedendoti: le particelle puntiformi sono fatte di… di che cosa? Io non voglio fornirti le solite risposte fuorvianti, che di fatto non rispondono a nulla.

Negli ultimi anni intorno alla teoria delle stringhe sono sorte alcune polemiche. C’è chi dice che è sterile perché non ha condotto ad alcuna verifica sperimentale. E aggiunge che se continua ad avere successo è solo perché c’è una sorta di casta degli stringhisti che tende ad autoriprodursi. L’universo senza stringhe, di Lee Smolin, è il libro che meglio espone queste critiche. Che ne pensi?

Sono polemiche abbastanza strumentali, legate più alla sociologia della scienza che alla scienza vera e propria, che comunque è un’attività umana come tutte le altre, frutto dell’agire di esseri umani come tutti gli altri, esseri umani che non sono “antropologicamente diversi”. In realtà la teoria delle stringhe ha una storia molto complessa. Nasce in ambiti lontani dalla gravità quantistica, più vicini alla fisica nucleare e subnucleare. Solo in seguito si è capito che aveva grandi potenzialità anche nella quantum gravity.

Ed è diventata di moda?

In effetti moltissimi giovani ci si sono cimentati. Forse troppi. E forse in fisica teorica, soprattutto negli Stati Uniti, è stato davvero difficile avere posizioni postdottorali se non ci si occupava di stringhe. D’altronde è anche vero che questi modelli matematici mal si prestano a un contraddittorio con la fisica sperimentale, perché le energie necessarie sono inaccessibili in laboratorio. Quindi si passa dalla fisica teorica alla fisica… speculativa.

Mi stai dicendo che la critica di Smolin è giusta?

In realtà la stessa critica potrebbe essere mossa alla loop quantum gravity: anche lì trovi teorie molto speculative. Il problema è a livello sociologico, di comunità, di tribù: chi si occupa di teoria delle stringhe e chi si occupa di loop quantum gravity.

Parliamo di loop quantum gravity, allora: che roba è?

La loop quantum gravity parte dall’idea di quantizzare in maniera diretta, con le opportune tecniche adatte, la relatività generale di Einstein. Si tratta di leggere in maniera intelligente e raffinata l’equazione di Einstein e di fornire così un quadro generale nel quale sia possibile quantizzare la teoria. Anche la loop quantum gravity ha avuto un’evoluzione articolata. L’idea originale è di Abhay Ashetkar, che in maniera molto brillante aveva riscritto la teoria di Einstein usando delle variabili alternative, dandone una formulazione più vicina alle teorie di Yang-Mills, che da un punto di vista formale generalizzano l’elettromagnetismo. Insomma, l’approccio di Ashtekar introduceva nell’ambito della relatività generale un formalismo più vicino a quello delle teorie di gauge. Partendo da lì, Lee Smolin e Carlo Rovelli si sono resi conto che era possibile quantizzare la teoria, almeno formalmente, usando delle variabili a loop, cioè dei cammini chiusi. Vedi che c’è sempre di mezzo l’idea di un oggetto non puntiforme? Solo che, mentre nella teoria delle stringhe quest’oggetto è un costituente fondamentale, nella loop quantum gravity è una variabile geometrica che permette di quantizzare la curvatura dello spaziotempo. Essenziale è capire che la loop quantum gravity, diversamente dalla teoria delle stringhe, è perfettamente consistente con l’idea originale di Einstein.

Fra teoria delle stringhe e loop quantum gravity

Ecco, questo invece è di sicuro un congresso. (Cortesia: M. Carfora)

Beh, questo è un merito, no?

Secondo la mia opinione personale, è un merito ma è anche un limite. Un limite figlio di due limiti. Il primo dovuto alla pretesa di continuare a utilizzare la teoria quantistica dei campi, mentre la teoria delle stringhe ci insegna che abbiamo qualcosa di più generale. Il secondo è che la loop quantum gravity è figlia del principio di equivalenza. Che certamente va bene, però è un po’ limitante.

E la teoria delle stringhe non soffre di questi limiti…

La teoria delle stringhe ha eliminato questi limiti, legati all’esigenza di trattare le dimensioni dello spaziotempo come God given. La teoria delle stringhe ci ha insegnato che praticamente tutto è dinamico. E’ un principio di democrazia fondamentale nascosto nella meccanica quantistica: se qualcosa è possibile, succede. Se invece qualcosa è impossibile a livello classico o semiclassico, ci dev’essere qualche campo fisico che giustifica quest’impossibilità dinamicamente. La teoria delle stringhe si muove proprio in questa direzione: ci dice perché certe dimensioni sono limitate. Mentre, se ci si impone di seguire rigidamente la relatività generale, emergono delle rigidità in ambito classico di cui non si riesce a fornire una spiegazione. Senza voler far torto alla loop quantum gravity, che ha tanti altri meriti, devo però dire che questo non è il massimo.

E la rigidità consiste…?

Nel numero delle dimensioni. La teoria delle stringhe ci dice che questo numero non è fissato a priori. Perché dovremmo assumere a priori che dev’essere pari a 4? La teoria delle stringhe mi piace, e piace anche ai matematici, perché lascia più libertà. D’altronde deve lasciarla. Un secolo di fisica teorica ci ha insegnato che la meccanica quantistica è una teoria strana. E secondo la meccanica quantistica anche il numero delle dimensioni dello spaziotempo dev’essere il valore di aspettazione di un campo fisico. Nelle accezioni più moderne della teoria delle stringhe, lo stesso campo gravitazionale viene visto come un effetto, come l’ombra nella caverna platonica prodotta da teorie che nulla hanno a che fare con il campo gravitazionale. Dal canto suo, la loop quantum gravity parte da premesse diverse: siccome la relatività generale ha avuto un grande successo sperimentale, proviamo a quantizzarla così com’è. Invece la teoria delle stringhe, partendo da concetti completamente differenti, riottiene la relatività generale come effetto a basse energie.

Dal punto di vista del fisico sembra più ragionevole la loop quantum gravity.

Sì, se voglio quantizzare il campo elettromagnetico parto dalle equazioni di Maxwell: è molto ragionevole. Però potrei partire anche dall’equazione degli angeli fluttuanti e poi riottenere, in certe condizioni, la quantizzazione del campo elettromagnetico. Nella teoria delle stringhe, se noi partiamo da azioni legate alla tensione delle stringhe, quantizzandola otteniamo risultati a livello semiclassico che riproducono la teoria einsteiniana. La loop quantum gravity parte dalla teoria di Einstein, prova a quantizzarla e tuttavia, per una sorta di contrappasso dantesco, ha qualche difficoltà a capire come la teoria einsteiniana riemerga a livello semiclassico.

Secondo te, quali sono i grandi problemi aperti della fisica all’inizio di questo nuovo secolo?

Ovviamente la quantum gravity: per come la vedo io, è un problema fondamentale. Si ritiene che, risolvendolo, si possa riuscire a far luce su molte questioni fondamentali in fisica teorica. Una vera sfida intellettuale.

Ma legati alla quantum gravity ci sono altri problemi. Chessò… la materia oscura… oppure l’energia oscura

La dark energy… non so. Secondo alcuni potrebbe essere legata, in effetti, alla quantum gravity e, più in generale, al problema dell’energia del vuoto. Perché la costante cosmologica è così piccola? D’altronde, ti dirò, mi aspetto grandi cose anche dalla fisica della materia.

Perché?

Perché è una palestra fondamentale. Moltissimi concetti che noi usiamo in fisica delle alte energie o anche in quantum gravity non sono God given, ma rielaborazioni estrapolate di fenomeni e idee brillanti e funzionanti nello studio della materia. Prendi il caso, per esempio, della vera comprensione della simmetria e della rottura della simmetria. C’è un esempio che a lezione faccio sempre ai miei studenti… L’essere umano ha connaturata nel cervello, a livello istintivo, tantissima fisica, frutto dell’ambiente in cui si è evoluto. E quest’ambiente è un universo che è sostanzialmente euclideo. Per questo abbiamo sviluppato facilmente dei principi fondamentali come quello di relatività. Tutto questo è conseguenza del fatto che lo spazio e il tempo sono omogenei e isotropi: a parità di condizioni, la fisica sembra essere sempre la stessa indipendentemente dal luogo e dal momento in cui si fa l’esperimento. Ora immagina di vivere come un essere intelligente in un universo turbolento. Per esempio un alieno nella Grande Macchia Rossa di Giove. Oppure, per restare più vicini, a un pesce nell’acqua di un fiume vorticoso. Pensa a quale conquista concettuale dev’essere la scoperta del principio di relatività, quando nemmeno ti puoi immaginare un sistema di riferimento inerziale. Questo ti fa capire abbastanza bene il ruolo, l’importanza delle simmetrie in fisica, e noi queste simmetrie le dobbiamo comprendere, le dobbiamo spiegare, non dobbiamo prenderle per date e basta. Cercare questa spiegazione è “fare fisica”. E la fisica della materia è una palestra notevole.

Siamo alla vigilia di una grande rivoluzione, paragonabile a quella dell’inizio del Novecento?

Voglio interpretare questa domanda in un’ottica di ampio respiro, perché la risposta esula dai confini della fisica. Nell’ambito della fisica le possibilità di una rivoluzione ci stanno anche. Ci stanno perché c’è la massa umana: tanti, tantissimi scienziati che si occupano dei problemi fondamentali. E poi c’è questa nuova macchina, il Large Hadron Collider, che forse ci permetterà di attraversare il deserto che separa la teoria dall’esperimento. E’ chiaro che se, per esempio, trovasse almeno l’evidenza sperimentale delle supersimmetrie sarebbe, alla lontana, un primo passo importante per digerire un po’ di più una teoria complessa e anche incompleta come quella delle stringhe. L’uso di Internet, poi, ha rivoluzionato gli aspetti sociologici della nostra comunità, dandoci la possibilità di scambi di idee molto più veloci. Quindi in linea di massima le premesse per una nuova, grande rivoluzione ci sono. Però…

Però…?

Però mi chieda se anche una rivoluzione scientifica riuscirebbe a rompere il cinismo culturale nel quale viviamo.

Cinismo culturale?

Sì. Ho paura che il romanticismo scientifico sia un po’ finito.

Romanticismo scientifico? Ma non è un ossimoro? La scienza, nell’immaginario collettivo, è tutto fuorché romantica.

Invece no. Invece le grandi rivoluzioni scientifiche spesso sono associate a una visione un po’ romantica della ricerca. E la carica di entusiasmo nasce anche da questo. Se davvero si verificasse una rivoluzione, se cioè affrontassimo un cambiamento radicale del paradigma, la comunità scientifica lo accetterebbe e lo vivrebbe come un momento importante. Però temo che rimarrebbe confinato all’interno della comunità e che la gente comune ne sarebbe esclusa.

E non è stato così nel passato?

No. La rivoluzione precedente ha segnato la cultura collettiva perché c’erano figure carismatiche, figure che incarnavano il ruolo di artefici della rivoluzione. Supponiamo, per dire, che a Ginevra si riesca produrre un buco nero. Per i fisici sarebbe fantastico. Ma per tutti gli altri… La notizia godrebbe delle prime pagine dei giornali per qualche tempo, ma poi finirebbe per cadere nel dimenticatoio, nell’indifferenza. Insomma, la globalizzazione ha reso una grande fetta dell’umanità cinica e insensibile a questi aspetti romantici della scienza e della cultura.

Concludiamo con la tua vita privata. Alcune settimane fa abbiamo pubblicato un’intervista a tua moglie, Annalisa Marzuoli, anche lei fisica teorica. Ecco, com’è la vita in famiglia quando si è entrambi fisici, specie se teorici? C’è competizione oppure collaborazione? Riuscite mai a scollegarvi dalla fisica, a parlare fra voi di qualcosa che non sia la fisica?

Indubbiamente nel nostro caso c’è collaborazione, tant’è che stiamo anche scrivendo un libro insieme. Quanto alla vita in famiglia… beh, dovresti porre la domanda a nostra figlia. In effetti noi siamo sempre molto concentrati sul nostro lavoro: non stacchiamo praticamente mai.

Ma non rischiate una crisi di rigetto? Pensando sempre quasi esclusivamente alla fisica, non vi viene voglia talvolta di rifiutarla, di liberarvene?

No, perché è una sfida continua. Fare fisica… anzi fare scienza in generale… è una forma d’arte. Disciplinata ma creativa. E la tensione etica è, in media, molto elevata. Ed è divertente!


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