Magazine Cucina
“Fra trent'anni l'Italia sarà non come l'avranno fatta i governi, ma come l'avrà fatta la televisione." Ennio Flaiano
Da LacucinadiqbConfesso. La mia frequente insonnia è fonte di continua ispirazione. Agata permettendo, naturalmente. Nel senso che non ama si accenda la luce nel cuore della notte e, per rispetto, mi ritrovo a pensare al buio, a piedi scalzi, a mac soffuso.
In questi giorni i solleciti a pagare il canone ("un tributo come tutti gli altri"), accompagnati da spezzoni di vecchie trasmissioni televisive, mi hanno fatto tornare indietro nel tempo, all'amato "elettrodomestico" televisione, completo di tubo catodico, colori seppiati e centrino ricamato a mano. Decoro vezzoso immancabile, come le manopole laterali dorate. E ovviamente mi è partita la curiosità.
Era una televisione con una funziona educativa, facente funzione mamma. Insegnava le buone maniere: non tirar su con il naso, chiedere sempre per piacere e non alzare la voce.Non essendoci il telecomando non esisteva l'ansia da blocco pubblicitario e il relativo zapping: al massimo si andava a fare la pipì e ci si metteva in pigiama prima della fine del film del lunedì. Essendo io nata all'epoca di Carosello non avevo questo problema, dovendo andare a dormire subito dopo!Le Kessler coprivano pubenda e gambe chilometriche con rassicuranti calze nere in quanto quelle color carne, la prima volta che furono indossate in prima serata, diedero luogo a reazioni scandalizzate e furibonde, ed i programmi dedicati alla cucina erano condotti dall'inventore del giornalismo enogastronomico, Luigi Veronelli, e da Ave Ninchi. Il programma si chiamava "A tavola alle 7", era in bianco a nero e aveva i toni pacati di una partita di canasta del giovedì pomeriggio.I cuochi non erano chef, indossavano la giacca, grembiule e torcione, avevano le mani segnate dai carciofi e dalle marinature, non sapevano guardare nella telecamera e sorridevano.Si, sorridevano. Mi sono guardata gran parte dei video presenti in rete: sorridevano i cuochi, sorrideva la signora altoatesina invitata a preparare i canederli, sorridevano i produttori di spumante in una puntata memorabile nella quale Veronelli spiegava la differenza tra lo spumante, appunto, e lo champagne. Sorrisi educati, cortesi, appena timidi.Per la realizzazione di un programma di cucina veniva chiamato un professionista, preferibilmente in pace con sè e con il mondo. Gli autori non venivano ispirati da casi umani, ragazzine in infradito e cappelli sciolti che si affannano attorno ad una piastra ad induzione, occhi umidi in un confessionale-dispensa, smorfie disgustate all'assaggio, dita puntate ad indicare il poveretto che ha sbagliato, commenti sferzanti, beffardi. Urlati e crudeli. E certamente non si ispiravano a bimbi decenni che disquisiscono di ganasce al cioccolato e micron di agar-agar con Donna Hay. Che si mordono le labbra e si mangiano le unghie mentre attendono l'esito dell'assaggio del piatto appena composto, come se un minuto di cottura in più nell'anatra glassata li condannasse al ludibrio in mondovisione e facesse di loro dei falliti conclamati.Scusate ma, cosa c'entra tutto questo con la cucina?! Con il rispetto, l'educazione, l'accettazione? Dove sono le emozioni positive ed anche inebrianti dei profumi che ti sembra di "veder" sprigionare dal video, dov'è quel distratto impiattamento frutto del desiderio di assaggiare e condividere?
Sapete quando è stata l'ultima volta che ho "visto" la passione legata al cibo? In un cappuccino.Mattina fredda, bar sconosciuto per un caffè veloce con il mio capo. Entra un uomo: alto, solido, vestito di scuro. Ordina un cappuccino alla barista che lo saluta, riconoscendolo. Apre una bustina di zucchero che versa uniformemente sulla schiuma. Poi prende la tazza con la mano sinistra e, roteandola, e lasciando il manico sulla destra, "morde" la schiuma resa dolce dai cristalli di zucchero. Una danza appagante, un giro goloso. E poi termina la bevanda con un paio di sorsi. I suoi occhi si illuminano quando vede entrare una donna: da come si avvicina a lui capisco che non sono semplici conoscenti. I loro sguardi si avvicinano e le labbra di lei risultano golose come la schiuma appena bevuta.Ecco, forse è da questo che bisognerebbe ricominciare. Dal cibo che parte dallo stomaco per arrivare al cuore.E forse dovrei iniziare a dormire un po' di più, come giustamente mi consigliava l'altro giorno Fernando, mentre mi raccontava di questo Vino Nobile di Montepulciano Riserva Docg 2004, prodotto dall'azienda agricola Palazzo Vecchio, la cui elegante armonia, così ricca di sentori persistenti ben si accompagna al piatto che vi presento oggi. Un incontro gradevole e con una sorpresa finale.
Risotto di verza, lardo e GravariolIngredienti360 gr riso Carnaroli de Tacchi (o comunque un buon riso carnaroli), 1 cipolla piccola, 80 gr di lardo (non necessariamente di Colonnata, basta che sia un po' speziato e buono), 1/4 di verza fresca (circa 160 gr di verdura pulita), 100 gr di Gravariol (o comunque un formaggio erborinato, anche vaccino, affinato con erbe aromatiche), pepe nero lungo, vino bianco secco, burro chiarificato, brodo vegetale, sale.ProcedimentoIn un tegame dal fondo pesante (sarebbe meglio in ghisa e conoscete il mio amore per le cocotte Staub) rosolare a fuoco basso il lardo tagliato in dadolada fino a quando il grasso diventa trasparente, togliere i ciccioli, metterli da parte e versare nella pentola la cipolla tritata. Rosolarla un po' e unire la verza mondata tagliata a julienne. Mescolare bene, spruzzare appena di vino bianco e cucinare coperto per circa 10'-15'. La verza deve risultare morbida ma non sfatta.In un altro tegame scaldare un po' di olio evo e tostare il riso, sfumarlo con un po' di vino bianco, unirlo alla verza ed iniziare la cottura consueta, aggiungendo il brodo caldo.Dopo circa 14' assaggiare per testare la cottura, regolare appena di sale, unire la maggior parte del Gravariol in dadolada (tenerne un po' di briciolame per decoro all'impiattamento) e il burro per la mantecatura. Lasciare coperto per 2' e servire immediatamente.Se lo si desidera, unire prima della mantecatura il lardo (allora dovrebbe essere inutile la salatura) cotto precedentemente qualora si desiderasse un mix di gusto e di profumi davvero insolito e molto gratificante.
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