La quinta riunione del Consiglio per la cooperazione di alto livello fra Federazione Russa e Repubblica di Turchia ha visto la presenza di delegazioni effettivamente di primissimo piano.
Ad Ankara si sono infatti ritrovati, nel nuovo palazzo presidenziale, Erdogan e Vladimir Putin, accompagnati da numerosi ministri non solo di competenza legata all’economia.
È però l’economia, in questo momento, a rinsaldare la cooperazione turco-russa. In una fase di grave disaccordo sulla collocazione internazionale – l’asserita comune volontà di combattere i movimenti terroristi non può nascondere l’opposta valutazione della situazione siriana – le ragioni della geopolitica riemergono almeno sul piano dell’interesse economico: nuovi accordi bilaterali (otto) sono stati firmati in campo commerciale, turistico ed energetico, nell’auspicio – formulato da Putin – di addirittura triplicare entro il 2020 il già corposo scambio commerciale tra i due Paesi.
Senza dubbio in contropartita della mancata partecipazione turca alle sanzioni antirusse, Putin ha riconosciuto uno sconto del 6 % sul prezzo del gas naturale, garantendo anche un incremento del flusso di metano diretto in Turchia: quest’ultima è, dopo la Germania, il maggiore acquirente di gas russo.
È stato anche confermato il partenariato fra Ankara e Mosca nella realizzazione della prima centrale nucleare in Turchia.
Putin ha colto l’occasione del vertice di Ankara per annunciare la rinuncia – non è chiaro se temporanea o definitiva – al progetto South Stream, in considerazione del mancato sostegno della UE e della mancata autorizzazione bulgara al passaggio delle condotte (atteggiamento questo evidentemente ispirato dalle istituzioni “europee”).
A spingere per una maggiore cooperazione di rilevanza politica sono stati in effetti i Tatari di Crimea: il loro Consiglio sociale – che comprende circa trecento organizzazioni facenti capo a quell’etnia – ha invitato i Presidenti Putin ed Erdogan a proclamare la Crimea “ponte di amicizia” fra Turchia e Russia, con un messaggio diffuso proprio alla vigilia del vertice. Si tratta di un implicito riconoscimento da parte tatara dell’ingresso – sancito dal referendum popolare – della Crimea nella Federazione Russa, e di un’occasione per Ankara di eliminare un motivo di incomprensione con Mosca (la “questione tatara”) creato ad arte dai potentati occidentali.
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